È possibile parlare di letteratura
nel tempo contemporaneo dei social network? La domanda potrà sembrare oziosa,
di lana caprina, una disquisizione sul sesso degli angeli direbbero i
banalizzatori della teologia; eppure è una domanda che contempla diversi
aspetti, molti importanti, alcuni addirittura fondamentali.
Innanzitutto bisognerebbe intendersi su cos’è la
letteratura. E forse qui sorge il grande problema, che in parte già anticipa
non tanto una risposta, quanto una conclusione. Il problema, infatti, non è la
letteratura, ma intendersi. Il problema serio dell’uomo contemporaneo è
l’intesa, la comprensione, l’identità. Il De Sanctis, tanto per prenderne una,
nella sua storia della letteratura, così si esprime sulla letteratura: “L'insieme delle opere variamente fondate sui
valori della parola e affidate alla scrittura, pertinenti a una cultura o
civiltà, a un'epoca o a un genere”.
Il punto su cui ruota la questione è, quindi, non
il livello di una determinata opera o di un determinato autore, quanto, ancora
più a priori, sui valori, sulla cultura e su una civiltà.
Come in molti hanno notato e registrato, al di là
delle tante critiche ai nuovi sistemi di comunicazione, oggi più che mai la
parola ha un ruolo primario, fondamentale, diffuso, nella vita delle persone.
Parola orale, ma anche parola scritta. I social hanno questa caratteristica
peculiare: si usano le parole. Che siano post, commenti, hastag, tweet o altro,
sempre si ricorre alla parola. Parola che diventa orale in un video o in una
conversazione telefonica o nei messaggi vocali delle chat. Certo si potrebbe
lamentare e ragionare sulla qualità delle parole, sul livello di istruzione,
sull’aspetto “formale” dei post, dei commenti e dei tweet, ma rimane il fatto
che a mancare, oggi, non sono le parole.
Quel che manca, dicevamo, è l’intesa. Intesa sui
valori, sulla cultura e sulla civiltà. Ancora: non mancano valori, culture e
civiltà, ma manca un’idea comune su di essi. Oggi assistiamo, forse
paradossalmente, a un appiattimento esasperato e pericoloso sulla capacità
comunicativa. Si parla, si condividono post e tweet, si risponde ai post ma, in
realtà, non si comunica. E non si comunica perché manca l’intesa, l’idea comune
che dovrebbe sottostare a una comunità di parlanti, a una civiltà appunto.
Capita sovente di leggere discussioni sui social
(ma poi anche altrove, sui canali più tradizionali) in cui ci si esprime
utilizzando gli stessi termini senza realmente capirsi. Il valore dell’amore, tanto
per fare un esempio semplice e blasonato, c’è (si pensi solo ai cuoricini che
determinano l’apprezzamento di un contenuto sui social), ma non c’è un’idea di
amore che legittimi l’utilizzo di questo termine e, quindi, di questo concetto.
Così come per la cultura e la civiltà. Esse ci sono, se ne parla in
continuazione, ma non c’è un’identità su cosa si intende per esse.
Identità, e qui arriviamo a un punto fondamentale,
che manca, anche, per assenza di coraggio e perché figlia di una cultura (a
conferma che esiste) che ha strappato (e non solo eliminato) violentemente ogni
pretesa di verità. La verità, infatti, oltre tutte le più qualificate
definizioni filosofiche e teologiche, è la possibilità di dire “Io sono” e di
credere in questa definizione e identità. Oggi non si ha la capacità, prima
ancora che il coraggio, di definire; perché definire significa circoscrivere,
porre fine, delimitare, segnare dei confini tra ciò che è e ciò che quella cosa
non è.
Ma l’uomo di oggi è terrorizzato dalla fine (sotto
tutti gli aspetti della vita umana) e non è più in grado di definire, quindi di
essere, pena l’essere emarginato e annichilito in nome di una serie di concetti
(rispetto, libertà, tolleranza, eccetera) dei quali ci si è appropriati
violentemente senza avere la cortesia di spiegarne secondo quali motivi tale
appropriazione sia lecita, doverosa, necessaria.
Un uomo così, più vittima che colpevole, come può
pensare a una letteratura? Si scrive, certo, ma non ci si capisce. Si vive,
certo, ma non ci si interroga. Quello che oggi manca è un pensiero, forte o
debole che sia. Oggi, e qui i social sono un elemento – di causa o di effetto
sarebbe da appurare – fondamentale, è tutta e solo una questione di
apprezzamenti, di ‘mi piace’. Ciò che non piace non esiste; o ci si massifica
in una sterile assonanza di gradimento, oppure ogni sorta di replica, che
presuppone un’idea, e quindi un’identità, contraria, non ha diritto di
cittadinanza. Diritto che le è negato non tanto da qualche despota del sapere,
ma da un ambiente culturale che non concepisce, non è in grado di pensare, che
si possa pensare diversamente.
Con l’ironica eterogenesi dei fini che tutto questo
accade proprio in una delle epoche in cui più si utilizzano quei termini, ormai
carcasse vuote, i cui contenuti più servirebbero all’uomo di oggi, alla sua
cultura, società ed esistenza. Quindi, infine, anche all’esistenza di una
letteratura e di una letteratura ai tempi dei social.
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