lunedì 30 maggio 2016

[IlBigotto] - La letteratura ai tempi dei social

È possibile parlare di letteratura nel tempo contemporaneo dei social network? La domanda potrà sembrare oziosa, di lana caprina, una disquisizione sul sesso degli angeli direbbero i banalizzatori della teologia; eppure è una domanda che contempla diversi aspetti, molti importanti, alcuni addirittura fondamentali.
Innanzitutto bisognerebbe intendersi su cos’è la letteratura. E forse qui sorge il grande problema, che in parte già anticipa non tanto una risposta, quanto una conclusione. Il problema, infatti, non è la letteratura, ma intendersi. Il problema serio dell’uomo contemporaneo è l’intesa, la comprensione, l’identità. Il De Sanctis, tanto per prenderne una, nella sua storia della letteratura, così si esprime sulla letteratura: “L'insieme delle opere variamente fondate sui valori della parola e affidate alla scrittura, pertinenti a una cultura o civiltà, a un'epoca o a un genere.
Il punto su cui ruota la questione è, quindi, non il livello di una determinata opera o di un determinato autore, quanto, ancora più a priori, sui valori, sulla cultura e su una civiltà.
Come in molti hanno notato e registrato, al di là delle tante critiche ai nuovi sistemi di comunicazione, oggi più che mai la parola ha un ruolo primario, fondamentale, diffuso, nella vita delle persone. Parola orale, ma anche parola scritta. I social hanno questa caratteristica peculiare: si usano le parole. Che siano post, commenti, hastag, tweet o altro, sempre si ricorre alla parola. Parola che diventa orale in un video o in una conversazione telefonica o nei messaggi vocali delle chat. Certo si potrebbe lamentare e ragionare sulla qualità delle parole, sul livello di istruzione, sull’aspetto “formale” dei post, dei commenti e dei tweet, ma rimane il fatto che a mancare, oggi, non sono le parole.
Quel che manca, dicevamo, è l’intesa. Intesa sui valori, sulla cultura e sulla civiltà. Ancora: non mancano valori, culture e civiltà, ma manca un’idea comune su di essi. Oggi assistiamo, forse paradossalmente, a un appiattimento esasperato e pericoloso sulla capacità comunicativa. Si parla, si condividono post e tweet, si risponde ai post ma, in realtà, non si comunica. E non si comunica perché manca l’intesa, l’idea comune che dovrebbe sottostare a una comunità di parlanti, a una civiltà appunto.
Capita sovente di leggere discussioni sui social (ma poi anche altrove, sui canali più tradizionali) in cui ci si esprime utilizzando gli stessi termini senza realmente capirsi. Il valore dell’amore, tanto per fare un esempio semplice e blasonato, c’è (si pensi solo ai cuoricini che determinano l’apprezzamento di un contenuto sui social), ma non c’è un’idea di amore che legittimi l’utilizzo di questo termine e, quindi, di questo concetto. Così come per la cultura e la civiltà. Esse ci sono, se ne parla in continuazione, ma non c’è un’identità su cosa si intende per esse.
Identità, e qui arriviamo a un punto fondamentale, che manca, anche, per assenza di coraggio e perché figlia di una cultura (a conferma che esiste) che ha strappato (e non solo eliminato) violentemente ogni pretesa di verità. La verità, infatti, oltre tutte le più qualificate definizioni filosofiche e teologiche, è la possibilità di dire “Io sono” e di credere in questa definizione e identità. Oggi non si ha la capacità, prima ancora che il coraggio, di definire; perché definire significa circoscrivere, porre fine, delimitare, segnare dei confini tra ciò che è e ciò che quella cosa non è.
Ma l’uomo di oggi è terrorizzato dalla fine (sotto tutti gli aspetti della vita umana) e non è più in grado di definire, quindi di essere, pena l’essere emarginato e annichilito in nome di una serie di concetti (rispetto, libertà, tolleranza, eccetera) dei quali ci si è appropriati violentemente senza avere la cortesia di spiegarne secondo quali motivi tale appropriazione sia lecita, doverosa, necessaria.
Un uomo così, più vittima che colpevole, come può pensare a una letteratura? Si scrive, certo, ma non ci si capisce. Si vive, certo, ma non ci si interroga. Quello che oggi manca è un pensiero, forte o debole che sia. Oggi, e qui i social sono un elemento – di causa o di effetto sarebbe da appurare – fondamentale, è tutta e solo una questione di apprezzamenti, di ‘mi piace’. Ciò che non piace non esiste; o ci si massifica in una sterile assonanza di gradimento, oppure ogni sorta di replica, che presuppone un’idea, e quindi un’identità, contraria, non ha diritto di cittadinanza. Diritto che le è negato non tanto da qualche despota del sapere, ma da un ambiente culturale che non concepisce, non è in grado di pensare, che si possa pensare diversamente.

Con l’ironica eterogenesi dei fini che tutto questo accade proprio in una delle epoche in cui più si utilizzano quei termini, ormai carcasse vuote, i cui contenuti più servirebbero all’uomo di oggi, alla sua cultura, società ed esistenza. Quindi, infine, anche all’esistenza di una letteratura e di una letteratura ai tempi dei social. 

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