Dell’ennesimo, si ricordi che è l’ennesimo, attentato
terroristico a Bruxelles se ne è parlato in misura sproposita. In una società
che abbonda di parole, senza intendersi sul loro significato, che poi si riduce
alla ripetizione sterile di slogan, non sa far altro che parlare. E lo fa,
però, senza comunicare. La vicenda è piena di significati, di risvolti, la cui
spiegazione e risoluzione non è certamente facile o riducibile ad un solo
fattore. C’è, però, un dato comune, un comune denominatore, che sono le mani
grondanti di sangue. Non solo quelle delle vittime, non solo quelle dei feriti,
non solo quelle degli attentatori, ma anche e soprattutto quelle dei guanti
bianchi di chi governa, occultamente o meno, l’Europa. Perché il problema vero,
serio, non sta tanto e solo in chi attacca, ma soprattutto in chi non è capace
o non vuole difendere. Enrico Mentana scriveva all’indomani degli attentati di
Bruxelles: “Fare la guerra a chi vive in
pace è facilissimo, fare la pace con chi ci ha dichiarato guerra è impossibile”.
Eppure ciò che gli attori della politica sanno ripetere è solo una sterile
filastrocca di banalità alle quali non vogliono o non sanno far seguire i
fatti. E il sospetto che dietro a tutto questo sangue ci siano le loro
“candide” mani è troppo grande per essere ridotto a un miserabile ‘i cattivi
sono gli altri noi siamo i buoni’. Non semplicemente, come vogliono far credere
alcuni, si tratta di un rapporto di causa ed effetto; anzi si può seriamente
pensare, avendo le spalle larghe di prendersi ridicole accuse di complottismo
da chi, incapace di dare risposte, mette etichette come coperte sempre troppo
corte; si può, quindi, seriamente pensare che dietro questi eventi ci sia una
chiara volontà politica della civile Europa per fini ben precisi. Fini che
probabilmente sfuggono, ma questa mentalità del terrore è un’occasione ideale
per privare gli uomini delle loro libertà nel ricatto di protezioni sempre
maggiori; protezioni che, ovviamente, non ci sono o non sono sufficienti perché
chi ha sete della libertà altrui mai sarà sazio. Il sistema oggi imperante è
già programmato in questa direzione; si pensi a tutte le politiche economiche e
in questo senso schiaviste. Il futuro non è certo roseo perché non si ha la
capacità e la volontà di pensare una reazione, anche solo difensiva. In questo teatro
chi ci rimette, la vita e la dignità, sono gli uomini comuni, non quelli che
siedono dietro a qualche tavolo illudendosi di essere i padroni del mondo. Il
futuro non è roseo, ma non è nemmeno totalmente buio. Una speranza c’è, ma non
passa per le foto dei profili Facebook, per i gessetti colorati, le liturgie
mediatiche per acquietarsi la coscienza. In questo giorno in cui si guarda con
la speranza della fede a un sepolcro vuoto, noi che conviviamo con sepolcri
pieni abbiamo, appunto, una sola speranza: quella di confidare in chi conosce
la strada per uscire da quei sepolcri. L’onere (ma anche l’onore) di restituire
pace e serenità a questa Europa passa da chi saprà giungere le mani, piegare le
ginocchia e implorare la grazia della pace. Perché la pace è una grazia, non è
lo stato naturale dell’uomo, checché gli ideologi dicano il contrario. In un
popolo di credenti sempre più ridotto all’osso, minato, diviso e frantumato, i
pochi rimasti abbiano la forza, la pazienza e la perseveranza, di continuare a
pregare. Mentre c’è chi riempie i sepolcri c’è chi li svuota ed è a Lui che
dobbiamo rivolgere il nostro sguardo, il nostro ascolto, la nostra attenzione.
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