Stanno occupando l’attenzione pubblica (le prime
pagine sono di sabato 7 novembre) le vicende del cosiddetto Vatileaks 2. Stanno
facendo molto rumore le questioni sugli sprechi di denaro e sulle ricchezze dei
cardinali. Ci sono in questa vicenda alcune considerazioni curiose, seppur
frustranti. Innanzitutto l’ingerenza laica in faccende ecclesiali; si è capaci
a frignare a parti invertite e poi a tacere quando fa comodo. C’è poi da
considerare la misericordia. Perché su alcune colpe (vedi il denaro) non c’è
perdono, mentre su altre (eresie e abusi liturgici) ci dovrebbe essere un
rompete le righe esagerato? C’è, infine, una terza curiosità da non trascurare:
nel primo Vatileaks i documenti venivano trafugati per attaccare e screditare
il pontefice di allora; in questo Vatileaks le cose sono ribaltate: i cattivi
sono i cardinali, l’unico buono è il pontefice di allora, solo al comando e non
aiutato a riformare la Chiesa. Ci sono alcuni conti che non tornano e non sono
solo quelli di singoli cardinali che in maniera più o meno ridicola tentano di
giustificare le loro proprietà e ricchezze. Perché il problema non è la
ricchezza in sé – come insegna il Vangelo – ma come questa viene utilizzata. Che
da questa vicenda passi un messaggio pauperocomunista è alquanto disgustoso e
preoccupante. Ma, si sa, conviene a molti, dentro e fuori i sacri palazzi,
screditare la Chiesa e l’opera di quanti (sempre più di quanti si pensa)
sacerdoti, preti, vescovi, cardinali e laici cattolici (soli in un Paese di
assenteisti della carità) fanno con quei soldi che tanto si disprezzano (ma
solo perché nelle tasche altrui) a beneficio di tanti, tanti, che non trovano
posto sulle prime pagine dei giornali.
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