mercoledì 28 ottobre 2015

La stessa notizia (25/10/2015)

Questi i titoli di sei dei quotidiani più noti e più letti in Italia. I giornali sono di Domenica 25 Ottobre 2015, data successiva alla conclusione del Sinodo sulla famiglia nel quale in molti avevano posto (dentro e fuori la Chiesa, più fuori che dentro) fiducia per la questione dell’ammissione dei divorziati risposati al Sacramento dell’Eucarestia. Questi i titoli. Di per sé, tecnicamente – come molti fanno notare -, nella Relazione finale del Sinodo non si parla mai espressamente di Comunione ai divorziati risposati. Ma allora perché i giornali hanno così titolato? La colpa è dei media, si dirà. Il che parzialmente è vero. I giornali italiani, sia per quanto riguarda la politica, ma anche per quanto riguarda la Chiesa cattolica, non riescono (non vogliono) essere obiettivi e parlare competentemente di materie di cui, oltretutto, dovrebbero e potrebbero tranquillamente disinteressarsi. C’è però comunque da riflettere che se è vero che i media hanno l’obiettivo di servire il mondo e cioè arrecare danno alle anime (e alle persone) tramite talune menzogne, non sarebbe opportuno e anche intelligente (per non dire doveroso) da parte cattolica che si eviti di prestare il fianco a queste strumentalizzazioni e falsificazioni (ammesso e non concesso che siano tali)? Perché tutto il lavoro che da Domenica tanti stanno compiendo, tentando di spiegare che nulla è cambiato, che la dottrina è salva, eccetera eccetera, è quantomeno ridicolo se non, peggio, inutile. Perché basterebbe che chi di dovere usasse quel linguaggio chiaro e definitorio, anche anatemizzando l’errore, che la bimillenaria tradizione della Chiesa (senza parentesi) conosce perfettamente. Invece che ridicolizzare chi l’ha fatto per secoli, evitando queste mediocri e imbarazzanti situazioni, tale linguaggio donerebbe autorevolezza ad un’autorità che l’ha smarrita e le risparmierebbe la patetica conseguenza di frignare perché il mondo ha capito male. Il mondo capisce male perché vuol capire male, ma capisce peggio perché il parlare cattolico non è più “sì, sì; no, no” come comandato da Gesù Cristo stesso (cfr. Mt 5,37). Perché poi sorge il sospetto che questa confusione, questo linguaggio ambiguo per cui non si professa apertamente l’errore, ma si permette che esso non sia condannato in modo che poi nella realtà gli sprovveduti cattolici possono continuare ad illudersi che tutto è uguale a ieri e i non più cattolici possono beatamente perpetrare e praticare le loro pratiche sacrileghe ed erronee, viene e questo sospetto si fa sempre più certezza. Con le sole logiche e cattoliche conseguenze da trarre.

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