Erano lì, camminando in giro per
il centro della città dove abitavano. Un padre e un figlio, mano nella mano.
Una giornata come tante, una di quelle apparentemente senza significato, ma che
senza rendersene conto, insieme a tante altre, avrebbe dato a quel bambino,
come a ogni bambino, l’identità di uomo. Sia di riflesso che per reazione.
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«Papà, papà»
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«Dimmi tesoro»
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«Mi compri quel giocattolo?»
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«Quale?»
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«Quello lì, lo vedi? Dai ti prego»
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«Ma ne hai già tanti di giocattoli come quello.»
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«Lo voglio, lo voglio»
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«E poi costa troppo, non lo possiamo comprare»
Altre risposte non c’erano.
Pensava di avercela fatta, quando prima in maniera sottile e leggera poi in
maniera sempre più forte e plateale, il pianto di suo figlio si liberò fino ad
esplodere e a travolgere l’udito e l’attenzione di tutti coloro che erano nei
dintorni.
Prima provò, goffamente, a farlo
tacere, poi a consolarlo, infine ad ignorarlo. Quando di fronte all’evidenza
che il pianto non cessava si sentì costretto a tornare sui suoi passi e a
comprargli quel benedetto giocattolo, ecco che finalmente ogni tristezza sparì
dal volto di suo figlio per far posto a una grande contentezza.
Anche quella sera si erano
ritrovati sotto casa di lei, dopo aver provato a fare l’amore, o quel che di
esso era rimasto, senza riuscirvi. Eccoli lì, a fissare il mondo che viveva
davanti ai loro occhi, dietro il vetro della macchina nella quale erano seduti.
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«Amò perché non dici niente?»
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«Che ti devo dire?»
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«Non lo so, qualcosa, ti vedo strana»
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«Boh, no, niente»
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«Come niente? Non ti va più di fare l’amore con
me?»
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«Ma no, non è quello»
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«E cos’è allora?»
Silenzio
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«Non ti piace più?»
Silenzio
-
«Non mi ami più?»
Silenzio
-
«Mi dici qualcosa o no?»
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«Sono pensierosa e triste»
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«Sei sempre triste e non mi dici perché!»
Silenzio
Silenzio
E poi di nuovo lui tentò un
approccio, cercando di risolvere problemi che non vedeva, soddisfacendo le
pulsioni e gli istinti più intimi, cercando di esagerare, aumentare il livello,
pensando che quello, magicamente, facesse sparire ogni malumore. Magari non
facendolo sparire, ma anche solo allontanandolo per qualche ora, minuto,
secondo. E dopo qualche secondo che a lui parvero minuti intensi e lunghissimi,
lei se ne andò incontro al vuoto nel quale era sprofondata.
Erano le 3 di notte di quel
sabato sera di luglio. Le scuole erano finite e tanti piccoli disoccupati in
attesa di un nuovo anno di studio o qualcosa che potesse anche solo minimamente
assomigliargli, stavano lì, buttati in un parcheggio come bottiglie di birra già
scolate da un pezzo.
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«Ahò, che facciamo stasera?» fece quello che
doveva essere il trascinatore; ‘capo’ era una parola grossa anche per lui.
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«Ma che ne so» fece un altro
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«Andiamo a mignotte» fece un terzo
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«Sempre a quello pensi, che palle»
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«Proponete voi, no?»
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«Ci sballiamo? Ho un amico che dice di avere
roba buona» propose il primo
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«Naah, nun me va»
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«E se andassimo a fa casino in centro?» fece un
altro fino a quel momento rimasto in silenzio a rimuginare su quanto rimasto di
quel sigaro fumato.
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«Bah, a fa ste cose te diverti solo te»
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«E poi lo abbiamo fatto già ieri»
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«Vabbè allora io me ne vado»
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«Pure io»
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«Se vedemo domani»
Silenzio
Se
ne andarono tutti e restò lo stesso niente che c’era fino a qualche istante
prima, solo adesso pieno di un silenzio non interrotto dalla ricerca di un
desiderio da consumare: la fine dei desideri è soddisfarli tutti. La fine dei
desideri è soddisfarli subito.
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