Si parte!
Giulio è seduto su un treno pronto a partire. Il
treno dei sogni, delle speranze, delle fantasie, dei tanti sacrifici fatti,
delle scommesse, degli investimenti, per il quale ha dato tutto e anche più di
quello che aveva, sta partendo.
E non ci crede di essere lì; non
gli sembra vero, si senti un privilegiato. È pronto a lasciarsi alle spalle
delusioni e amarezze. È pronto ad andare verso il futuro che ha tanto sognato.
Lontano da tutte le delusioni e i fallimenti che hanno contrassegnato la sua
vita.
Sta lì, accanto al finestrino,
guardando il panorama del suo passato. E i pensieri e i ricordi vanno oltre
quello che gli occhi vedono. Come un trailer di un film scorrono davanti a lui
le scene più significative della sua vita, quelle per le quali è su quel treno,
con la voglia di andare via, lontano. Non importa dove, non importa quanto
lontano, l’importante è che lo sia.
Il fischio del capostazione lo
riporta alla realtà, alla certezza di essere a un punto di no ritorno; tutto si
muove, il cuore impazza, ma dopo lo scorrimento veloce rimane il solito
panorama squallido e triste della stazione di partenza.
Il treno ad essere partito non
era il suo, ma quello al binario accanto. E la voce metallica che informava che
il treno di Giulio era guasto e invitava i passeggeri a scendere, si diffuse
nelle stazione come l’aria gelida si diffonde nella pelle.
E pianse.
Vagabondò un po’ per le strade
della sua città, alla ricerca di una meta che non aveva mai avuto, che aveva
creduto di poter raggiungere e che ora è svanita. E non avrebbe mai più
ritrovato il coraggio per partire. Entrò allora in una porta semiaperta, spinto
più dalla noia che dalla convinzione di varcare una soglia per entrare in un
posto specifico. E una voce anziana, ma decisa, pronunciava queste parole:
«Il problema è che soffriamo di esotismo, anche nei sentimenti, anche
verso noi stessi, anche verso la vita. Cerchiamo, perché lo consideriamo
migliore, sempre ciò che è lontano da noi, il diverso, la frenetica novità. La
felicità è per noi sempre quello che non abbiamo, perché siamo schiavi
dell’idea che si può sempre stare meglio di come si sta e che apprezzare quel
che si ha e quel che si è, sia accontentarsi, quindi arrendersi, quindi
fallire.»
Uscì fuori correndo, urtando
contro lo stipite della porta, in preda ad una crisi. E pianse.
“Sono come persone sempre affamate, perché non arrivano ad assimilare
il cibo che mangiano; e come gli affamati, sono arrabbiati” [G. K. Chesterton –
Il pozzo e le pozzanghere]
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