domenica 23 novembre 2014

Il freddo dell'estate



L’estate. Caldo. Afa. Sudore. Vacanze. Tempo. Voglia di vivere e conquistare il mondo. Tempo di amori, di sogni e desideri. Tempo di tempi diversi dalla normalità. Ma anche d’estate fa freddo. Perché le stagioni degli uomini non corrispondono alle stagioni metereologiche. Gli uomini hanno tempi che il tempo non contempla, con una voracità sconosciuta persino all’eternità. Gli uomini sono sempre insoddisfatti perché qualsiasi cosa non li soddisfa. Non è colpa loro, ma un difetto di fabbrica. Di una fabbrica che ha tradito il progetto iniziale. Spesso poi gli uomini cercano lo stordimento per non pensare. Cercano di morire annegati nel piacere sperando che sia il piacere a salvarli. Ma ogni dipendenza crea tristezza e vuoto. Un vuoto che non viene mai riempito, ma svuotato dall’ennesima overdose. Questa è la vita per gli uomini. Una continua estate. Una continua esaltazione di progetti e sensazioni. La vita, per gli uomini, è un megafono, è urlare fino allo sgolamento per ottenere qualcosa di più grande. È il tentativo, destinato a fallire, di possedere tutto. Di fare tutto. E quando ti accorgi che il tempo, così come le energie, non ti bastano, scopri l’inverno. Anche in piena estate. Anche nel pieno di un amore, di un progetto, di un’ambizione covata e coccolata per parecchio tempo. L’inverno c’è per tutti, ma non tutti si coprono e accettano di viverlo. Perché basta aspettare. Più o meno lungo l’inverno passa, così come passa l’estate. Ma siamo così schizofrenici che vogliamo il sole d’inverno e la neve d’estate. Perché questo è quanto la nostra presunzione ha prodotto. Non siamo più creature, ma creatori. Ma non abbiamo i mezzi per farlo e come bambini impuniti piangiamo in un angolo del mondo o in un angolo delle nostre vite, battendo i pugni, urlando contro tutto ciò che ci circonda e aspettando – pretendendo – che qualcuno ci salvi. Peggio, che qualcuno ci soddisfi. Perché è questo quello che vogliamo. Essere sazi, satolli, soddisfatti. È una vita ingorda di piaceri. È il consumismo delle emozioni. Siamo capaci di indignarci per quello economico, non per quello umano. Ma quello umano, relazionale, sentimentale è ben più grave. Perché si può essere poveri e amici, malati e solidali, affamati e innamorati. Solo che guardiamo solo al portafogli, a quanti zeri ci sono sul nostro conto in banca, ma non a quanti zeri ci sono nella nostra vita. Perché la ricchezza se non sai con chi spenderla non vale niente, ci puoi annegare nel mare dei tuoi averi. Ma nel deserto della povertà ti puoi salvare. Ti puoi accorgere, morendo, che la vita vale più di una banconota, di un assegno o di bonifico. Perché in cuor tuo lo sai che la vita non è una catena di successi. E allora o ti rassegni che sia una condanna di perdenti o bestemmi un cielo che credi vuoto perché non sei nato nella parte di vita benestante. E l’inverno arriva. Gelido. Soffocante. Perché si soffoca anche per il freddo. Che ti blocca, ti terrorizza. Ti fa rendere conto che puoi avere tutto, ricoprirti di tutto ciò che vuoi e alzare la temperatura del tuo piacere, ma la lastra di ghiaccio sulla quale stai sprofondando non si rompe. E le tue urla non le sente nessuno, perché tutti quelli che hanno provato a restarti accanto li hai allontanati per cercare certezze nelle cose, non nelle persone. E puoi illuderti quanto vuoi, ma nella vita bisogna fare delle scelte. Dove getti la tua ancora? Dove fermi il tuo gancio? Dove ti senti a casa? Rispondi a questa domanda e capirai chi sei. Capisci chi sei e saprai dove stai andando. C’è sempre tempo per cambiare, mai per tornare indietro. Il male fatto non si cancella, le cose rotte non si ricostruiscono. Ma si può andare avanti, pentirsi e cambiare. Ricominciare. Sopportare il gelo della solitudine, del fallimento, dell’illusione che lascia il posto alla realtà, dell’accettazione della propria miseria e misera cattiveria. Da lì, da quel tuo niente puoi ripartire. E capire che il vaso della vita non va riempito; è un peso troppo grande che non siamo in grado di portare e che ci fa sprofondare lontano dalla brezza di ciò che rende sensata l’esistenza. Il vaso della vita va cancellato. Non siamo vasi, non siamo stati creati per contenere, ma per essere dei tramiti. Ecco allora che bisogna mettersi in cammino per le strade del mondo, per le pagine di una biblioteca, per le note di uno spartito, per le piaghe delle malattie, per le pieghe delle emozioni degli uomini; raccogliere tutto ciò che di umano ancora esiste (ed esiste!) e portarlo a chi, barbaramente, si sta rassegnando al suo inverno. A chi, vittima e carnefice allo stesso tempo, con abili operazioni di parole, crede di essere in estate anche in mezzo al freddo della propria coscienza. La bellezza salverà il mondo ha detto qualcuno. L’umanità degli uomini non salverà il mondo, ma gli permetterà di non annientarsi e di ritornare ad essere un posto dove vale la pena vivere e non un posto dal quale fuggire il prima possibile.

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