sabato 8 novembre 2014

Forma Ordinaria del Rito Romano

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.
Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».  I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.  Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
[Gv 2,13-22]
  
Forma Straordinaria del Rito Romano

Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
[Mt 22,15-21]
  
Dare a Dio quel che è di Dio. Dare a Cesare quello che è di Cesare, nonostante la frustrazione delle continue richieste di Cesare, ci risulta comprensibile e tutto sommato accettabile; dare a Dio il Suo no. Perché? Perché abbiamo perso la dimensione trascendente dell’esistenza e, al massimo, abbiamo fatto di Dio un altro Cesare. Un po’ più invisibile, certo, ma sempre un esattore. Diamo a Lui perché Egli ci renda ciò che abbiamo pattuito o ciò che noi reputiamo doveroso e necessario. La fede non è un contratto. Con Dio non è dare per ricevere. Certo riceviamo, ma la fede non è un farisaico controllo e peso di ciò che diamo per ottenere.
Eppure oggi quello di cui abbiamo più bisogno è proprio questa verticalità della vita. Abbiamo bisogno di Dio. Il problema, però, non è che Dio non c’è, ma che scarseggiano i suoi uomini. Anche e soprattutto nel clero. Essi hanno ribaltato i piani. Hanno reso l’aspetto mondano sacro e mondano quello sacro. Dottrine alla moda, liturgie show al passo con i tempi, esaltazione di una sacralità laddove non c’è togliendola laddove deve esserci.

Mancano poi pastori che abbiano la sacra virilità di frustare tutto questo mercimonio. Qualcuno che abbia la santa ira di rovesciare tutto questo e ristabilire l’ordine di Dio. Che non è tanto un tornare a un passato più o meno glorioso, quanto ripristinare il primato di Dio sull’uomo. Perché solo se Dio regna l’uomo vive. Laddove a regnare è l’uomo, Dio vive lo stesso, ma è l’uomo che sprofonda e muore nelle sue miserie.

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