Forma
Ordinaria del Rito Romano
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
[Mt 18,15-20]
Forma
Straordinaria del Rito Romano
E volgendosi ai discepoli,
in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi
dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non
lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l'udirono». Un dottore della legge
si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita
eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi
leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo
cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua
mente e il prossimo tuo come te stesso». E Gesù: «Hai risposto bene;
fa' questo e vivrai». Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è
il mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico
e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono,
lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella
medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un
levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano,
che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli
si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo
sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il
giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi
cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi
di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei
briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli
disse: «Va' e anche tu fa' lo stesso».
[Lc 10, 23-37]
[Lc 10, 23-37]
«E chi è il mio prossimo?». Questa domanda, che appare banale e
scontata, mostra invece i limiti e le distorsioni del nostro concetto di
prossimo e, quindi, di carità. Gesù non risponde fornendo un identikit del
prossimo modello. Non dove essere bravo, sano e bello. Prossimo è anche chi è
malato, sofferente, anche affetto da sindromi difficili da accettare per noi
benpensanti. Il nostro prossimo non deve essere ricco o povero; non dobbiamo
stare a guardare il suo conto in banca per sapere se dobbiamo relazionarci a
lui. Il nostro prossimo non deve essere necessariamente straniero, meglio se
migrante e extracomunitario. Non si tratta di guardare la sua carta d’identità
e il suo stato politico. Il nostro prossimo è colui che incontriamo sulla
nostra strada, non quello che sta dall’altra parte del mondo e proprio perché sta
così lontano e non inquina il nostro ecosistema è bello e piacevole “aiutarlo”.
Perché poi, il massimo che siamo in grado di fare verso di lui è mandare un sms
o fare una telefonata il cui esito è sostenere le associazioni che propongono
queste campagne, più che aiutare chi ne ha bisogno. Tutti noi abbiamo bisogno
di Gesù Cristo. Abbiamo bisogno anche di cure mediche, di cibo, di alloggio e
di un tetto sotto il quale dormire, ma la parabola evangelica rappresenta la
Chiesa nella sua missione completa. Aiuto spirituale prima ancora di quello
materiale. Aiuto spirituale che contempla anche quello materiale; viceversa non
è possibile: chi si spende per l’aiuto materiale trascura e tradisce quello
spirituale.
Oggi come oggi abbiamo ribaltato
il Vangelo e il Cristianesimo: da missione verso tutti si è rivolta a missione
verso pochi. A sentire molti Gesù si rivolge solo a chi ha pochi soldi; solo i
poveri sarebbero meritevoli di attenzione. E la povertà di chi affoga nel
denaro? La povertà di chi soccombe sotto il peso del potere? La povertà della
solitudine del benessere? Siamo così parziali di aver ridotto la povertà a un
mero discorso marxista di denaro e produzione. Gesù offre la Sua salvezza a
tutti; a tutti coloro che ne hanno bisogno. E ne hanno bisogno anche chi
fattura utili da milioni di euro ogni anno. Non sono persone di serie B. Anzi! Eppure
essere ricchi sembra essere una colpa; tanto da meritare l’indifferenza dei
cristiani.
Entrambi i vangeli sono
profondamente ecclesiali. La Chiesa come locanda dove ristorarsi e essere
curati; ma la Chiesa anche e soprattutto come maestra che insegna, ammonisce,
rimprovera e all’occorrenza punisce. La caricatura di Gesù melenso e con gli
occhi a cuoricino che ci spacciano per vera ignora volutamente il Vangelo. La
sapienza evangelica, per bocca dello stesso Gesù Cristo, istruisce i suoi
ministri a riprendere chi commette una colpa. Non a disinteressarsene perché tanto
Dio perdona tutti anche gli ostinati nel peccato. I peccatori devono essere
ammoniti; ma non perché chi li ammonisce è migliore, ma perché costui è stato
investito di un’autorità che ha il grave dovere di recuperare la pecorella
smarrita. Oggi manca proprio questo, il parlar chiaro dei pastori; vuoi per
colpa, vuoi per mancanza di attributi, il popolo di Dio oggi non ode la voce
delle sue guide ed è profondamente convinto di perseguire il bene anche quando
commette peccati gravissimi. E l’ignoranza non giustifica totalmente la colpa
grave. Il pastore deve ammonire privatamente, poi pubblicamente. Troppo spesso
noi saltiamo il primo ammonimento e passiamo subito con il mettere alla
pubblica gogna il nostro fratello che ha commesso una colpa. Rimproverarlo nel
segreto significa avere prudenza, tutelare la sua dignità. Non significa
puntare il dito, ma amarlo al tal punto da sperare che possa emendarsi dal
peccato e convertirsi. Se poi si ostina nel peccato allora è doveroso indicare
a tutta la comunità che quel nostro fratello si è perso. Se poi continua a
persistere nel peccato egli sia per noi come un estraneo. Preghiamo per lui, ma
non possiamo pregare con lui. L’istituto giuridico della scomunica nasce qui. Per
scoraggiare al peccato chi, ostinatamente, ci si abbandona e per preservare la
comunità da questo virus pericoloso. Quale grande amore ha la Chiesa per i suoi
figli. Chi, quando occorre, non ricorre a questi strumenti evangelici, pecca e
fa grave danno al gregge affidatogli.
Questo vale per tutti. Tutti noi
abbiamo bisogno di chi ci ammonisca, di chi ci istruisca e indichi la strada
per la santità. Sentiamo urgente bisogno di chi usi parole di vita eterna. Di parole
mondane siamo saturi e insoddisfatti. Chiediamo a Dio che ci dia pastori che
sappiano essere uomini, pronti a condannare il peccato e a rimproverare il
peccatore. Non per condannarlo, ma per invitarlo a conversione. E per indicare
a tutti noi come il peccato uccide. Chi non ci ammonisce vuole la nostra morte
o ne è complice di chi non vuole la nostra salvezza, ma la nostra eterna
perdizione.
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