“Non siamo dei giudici che
decidono chi si deve comunicare e chi no”. Questo è quanto scrive padre
Pepe di Paola, come riportato nell’articolo di Matteo Matzuzzi sul Foglio di
oggi 05/09/2014. E padre Pepe non è un prete tra tanti, ma uno che conosce
benissimo Papa Francesco. Sono tanti quelli che dicono di conoscere il Papa e
poi gli addossano cose che non sono vere. Staremo a vedere. Il punto comunque
rimane. Quello espresso da padre Pepe resta il pensiero di molti e la cosa
stancante è il solito schema con cui vengono proposti certi argomenti. I
cattivi sono tutti gli altri e i buoni sono solo loro. Loro che, a prescindere
dalla validità o meno delle loro argomentazioni, sono dei disobbedienti. “Quando ci troviamo davanti alle persone che
convivono senza essere sposate in chiesa non alziamo barricate, neppure nel
caso dei sacramenti e della comunione”. Aldilà del fatto che ‘comunione’ è scritta
sempre in minuscolo, è interessante notare che c’è un insegnamento dottrinale e
disciplinare della Chiesa che costoro disattendono beatamente perché hanno
reciso il vincolo dell’obbedienza e si ergono a giudici infallibili di cosa è
giusto e cosa non lo sia. Il problema non si situa solo a livello teorico, di
discussione, di supporto a una decisione che poi Santa Madre Chiesa – con i
suoi tempi – prenderà; no, si pone la Chiesa di fronte al fatto compiuto e poi
Essa – un po’ anche per la perdita di autorità degli ultimi decenni – non
interviene, ma sopporta, prova a mediare e a trovare soluzioni diplomatiche.
Intanto il danno è fatto e di male minore in male minore il deposito della fede
viene eroso e di cattolico rimane ben poco.
Il problema è sempre quello. C’è
una dottrina della Chiesa? Sì, c’è. So che chiamarla dottrina fa inorridire i
pastori e i loro laici solidali che, compiendo mistificazioni su
mistificazioni, fanno passare per cattivi e rozzi, chi pretende e auspica che
la dottrina abbia il suo posto e che non venga detronizzata da un assurdo
concetto di misericordia. Perché chi crede, chi crede nella Verità, nella
Verità esposta dalla dottrina cattolica, non è uno che non si sporca le mani,
che se ne sta assiso sulle cattedre a insegnare e bacchettare chi sbaglia. Anzi
è l’esatto contrario, solo che mediaticamente ormai è sdoganato che i
“dottrinalisti” sono brutti, sporchi e cattivi e i “misericordisti” sono belli,
solari, profumati e buonissimi. Come tutte le distinzioni anche questa è falsa
e chi la usa probabilmente ha i suoi interessi a non entrare nel cuore del
problema, a fare delle etichette la sua ragione di vita, e ad assegnare quelle
negative a chi non la pensa come lui per silenziarlo e impedirgli di sostenere
un dialogo. Sì, proprio loro, che del dialogo hanno fatto un dogma, pardon, un
assoluto.
Il problema, dicevamo, è sempre
quello. C’è una dottrina della Chiesa? La Chiesa cosa crede in merito al Matrimonio,
alla Confessione, all’Eucarestia, al divorzio, eccetera? C’è una dottrina e poi
un’applicazione disciplinare che può, nei limiti, mutare. Oggi invece si
pretende che questi limiti non ci siano e laddove ci fossero chi deve cambiare
non è chi propugna certe ideologie, ma la dottrina della Chiesa. Solo che
cambiare la dottrina della Chiesa in campo dogmatico oltre che impossibile ha
un nome ben preciso: eresia. Con tutta la gravità di quello che ciò significa.
Padre Pepe prosegue notando una
cosa vera e intelligente, ma lo fa ai suoi fini strumentali: “Sappiamo anche che la maggioranza dei
matrimoni sono invalidi, perché la gente si è sposata immatura, senza avere la
piena coscienza di ciò che faceva e del valore del sacramento che aveva
chiesto. E su questo punto, grande responsabilità hanno i preti e i vescovi.
Criticano noi perché diamo la comunione a quelli che convivono, poi ammettono
al sacramento del matrimonio coppie non credenti, che si sposano in chiesa
tanto per avere una cerimonia come si deve, una bella basilica piena di fiori,
così le fotografie vengono meglio”. E la colpa, guarda caso, è sempre di
voi preti. Vi costa così tanta fatica e virilità non ammettere al Matrimonio
chi non è maturo e in grado di sposarsi? Vi rendete conto che avete applicato
al Sacramento del Matrimonio quello stesso criterio che ora volete applicare al
Sacramento dell’Eucarestia e che sostenete questa tesi proprio portando i
risultati disastrosi dell’applicazione della stessa tesi sul Sacramento del
Matrimonio? È assurdo. Oltre che criminale. Non è perché siete senza attributi
e fate ognuno di testa vostra disubbidendo alle leggi della Chiesa, allora
bisogna cambiare la Chiesa adattandola ai vostri disastri. Abbiate la maturità
e il coraggio – ecco: la santità – di fare, anche a costo del martirio del
disprezzo, ciò che la Chiesa comanda e prescrive. Non pretendete che la Chiesa
prescriva ciò che non vi costa fatica e martirio. Perché tutto ciò che non
costa martirio, oltre che non cattolico, è qualcosa che tradisce la vostra
identità di preti, così come quella di ogni battezzato.
Se il vostro fine è la pace, la
quiete, il politicamente corretto, avete sbagliato vocazione. O forse l’avete
azzeccata, ma non per servire – come comanda Gesù Cristo – ma per farvi
servire.
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