“Le
comunicazioni di massa hanno il bisogno costante di innalzare i toni, di
provocare meraviglia in spettatori abituati al susseguirsi delle notizie e
pronti ad abbandonarle con uguale velocità. Paradossalmente, l’incidenza
sull’agire quotidiano dei missionari e dei maestri di catechismo era più
totalizzante del messaggio mediatico, che si trova in perenne concorrenza con
altre forme di condizionamento. La condivisione dei contenuti si esplica,
infatti, in modi differenti: i giovani del Giubileo, per esempio, hanno aderito
in gran numero all’impegno verso gli altri che riempie i vuoti lasciati
dall’etica laica, ma hanno negato in moltissimi le prescrizioni che ritengono
estranee alla propria cultura.”
[R. Librandi - La lingua della Chiesa in P. Trifone,
Lingua e identità]
Sarebbe da prendere seriamente in considerazione se non fosse che
farlo significherebbe rimettersi in discussione e mettere in discussione tutto
l’apparato di tweet, social vari, il papato come una popstar qualsiasi e
un’educazione alla fede fatta di effetti speciali.
Come in tutte le ideologie, si
danno per scontati e assodati alcuni principi (dogmi) e su quelli si costruisce
il castello di sabbia. Il punto è che quei principi sono falsi, smentiti
clamorosamente dalla realtà; rinnegarli costa sacrificio, perché significa
ammettere di aver sbagliato. Realismo che latita nel nostro amato clero. Con il
paradosso che i Dogmi veri vengono ignorati o, al massimo, usati come orpelli
delle suddette ideologie.
Il sistema informatico,
digitale, tecnologico, mediatico, ecc. con il quale dobbiamo per forza di cose
confrontarci, ha come suo elemento costitutivo l’immediatezza, la velocità,
l’innalzamento di toni. Lo stordimento. Cose che contrastano evidentemente con
un’educazione religiosa. Ora, si potrebbe scegliere di rifiutare tali mezzi di
comunicazione e correre il rischio di essere rinchiusi in una riserva indiana
dalla quale parli parli, ma nessuno ti ascolta. Si potrebbe altresì – come si
sta facendo – scegliere di sposare in toto questi mezzi comunicativi (vedi, tra
l’altro, il profilo Twitter ufficiale del Papa), con il risultato, che nessuno
dice, che la fede è stata svuotata dall’interno. Apparentemente molti si
professano cattolici, tantissimi condividono le parole del Papa o del prete in
voga, ma quanti poi vivono quelle parole e quanto la fede cattolica prevede e
prescrive, è qualcosa che esula dalle nostre competenze, ma che è facile
prevedere e constatare. Sondaggi (anche vaticani) mostrano sempre più il
distacco che esiste tra la dottrina della Chiesa, ciò che la Chiesa crede e
predica e ciò che i fedeli credono. Non tanto ciò che i fedeli fanno - le
debolezze umane sono all’ordine del giorno - quanto proprio ciò che i fedeli
credono. I temi etici sul matrimonio, aborto, sessualità, fine vita; i temi
dottrinali sulla natura dei sacramenti, sulla natura della Chiesa, sui
principali dogmi della fede, sono ignorati o, peggio, se conosciuti,
tranquillamente disattesi. La soluzione perseguita dal clero è a dir poco
umiliante: cambiamo i dogmi, la natura dei sacramenti e l’insegnamento sui temi
etici, uniformandoli a ciò che i sondaggi ci dicono essere di gradimento delle
persone. Così il colpo di magia è realizzato. C’è solo un piccolo problema,
oltre a quello della viltà intellettuale, ed è quello che i dogmi, la natura
dei sacramenti e l’insegnamento della Chiesa non si possono cambiare. Se si
cambiano non si è più cattolici, quello non è più l’insegnamento della Chiesa,
con tutto quel che ne consegue.
Fino a qualche anno fa – e in
alcune realtà arare e seminare è ancora possibile – i cattolici avevano una
grande possibilità: il catechismo per i bambini. Quello è l’unico momento certo
in cui quei bimbi e ragazzi metteranno piede in una chiesa cattolica. Dopo, per
apostasia o per mediocrità, non è assicurato che continuino. Non solo non è
assicurato che non mettano più piede in una chiesa (se non, magari, per qualche
funerale seguendo la funzione religiosa tra una sigaretta e una chiacchiera con
il vicino), ma non è altrettanto garantito che seguano l’insegnamento della
Chiesa. Quanti saranno, quindi, i cattolici? Già oggi, come detto sopra,
nominalmente il numero è ancora alto ma (senza voler fare la cerchia degli
eletti) quanti sono quelli che davvero ci credono e, con pazienza e perseveranza
e tutti i propri limiti, vivono da cattolici? Nella mia limitata esperienza
direi pochi. Se poi guardo fuori dal mio recinto la realtà è ancora più
drammatica.
Il punto centrale è che
l’educazione alla fede coinvolge due persone: l’educatore e l’educato. Che
sono, come detto, due persone. Non due profili twitter o facebook. Due persone
che si parlano e si ascoltano, dove una si prende cura dell’altra, prendendola
per mano e accompagnandola nelle dinamiche della vita, belle e brutte che
saranno. È un rapporto tra due individui, non tra due avatar. Questa banale
costatazione è ignorata e disattesa. È più facile rivolgersi a una massa di
bit, piuttosto che a uno o dieci ragazzi in carne ed ossa. Ma sono quella carne
e quelle ossa a essere oggetto dei sacramenti. Sono quella carne e quelle ossa
a essere oggetto della resurrezione. I sacramenti (a meno di folli idiozie
clericali) sono per il corpo e per l’anima, non per i profili social.
Questa è una moderna forma,
magari anche marginale, di gnosi, di rifiuto cioè della carne, della
corporalità di una persona. I tratti di questa degenerazione sono profondi e
gravi, che nemmeno ce ne rendiamo conto.
Ma è dalla persona che bisogna
ripartire. Dalla persona che crede e insegna alla persona che ascolta, cresce e
impara. In un rapporto fatto di corpi, di lacrime, insulti, carezze, giochi,
parole e silenzi, sguardi e percorsi. Un rapporto fatto di vita, quella che ci
è stata donata, non quella che disperatamente tentiamo di costruirci sui
social.
Nessun commento:
Posta un commento