Bigotto come sono, e in quanto tale lettore solo di ciò che mi fa
comodo o mi conferma nei miei convincimenti, ho letto il libro Leader come Francesco di Bruno
Bellardini che, già dalla copertina, esalta papa Francesco. Ho avuto seri
problemi a non gridare la rabbia di tante gratuite banalità e lo sconforto di
fronte all’ennesima conferma che Francesco sta con costoro e non a difesa dei
cattolici. In Francesco tutti i non cattolici ripongono tante aspettative
perché la Chiesa cattolica perda sempre più la sua specificità. I non credenti
sperano che la Chiesa cambi così che Essa perda la sua unicità. E che questo
avvenga con il placet o con il silenzio del Papa è terrificante. Leggiamo e
proviamo a capire, anche e soprattutto da chi vuole che la Chiesa non sia
quello che è sempre stata, cioè quella che Gesù Cristo ha voluto.
“Qui c’è il principale tema che Francesco dovrà affrontare: il
“Prodotto” della Chiesa è la sua Dottrina. E oggi quella Dottrina non è più in
grado di rispondere alle istanze dell’epoca contemporanea, perché non è stata
aggiornata, appare obsoleta. Non stiamo affatto parlando della “Parola di
Cristo” (ovvero del messaggio, il Vangelo), ma delle sue interpretazioni
dogmatiche che mostrano sempre più la corda lasciando i credenti di fronte a
conflitti interiori spesso irrisolvibili. La ricerca scientifica e le
tecnologie sono sempre più integrate con la vita dell’uomo. Occorre dunque una
Chiesa che sappia recepire le nuove istanze che ne derivano, riformulando e
attualizzando i suoi principi dottrinari, affinchè questi si armonizzino meglio
con la vita comune”.
L’errore – protestante – è la
distinzione tra Vangelo e Magistero, tra Vangelo e Dottrina. Queste sono viste
in contrapposizione l’una con l’altra; nel Vangelo ci sarebbe l’eldorado, nel
Magistero la Guantanamo; nel Vangelo la bellezza e la libertà più totale, nel
Magistero la tristezza e la repressione massima. Il problema di fondo è la
solita annosa questione su chi può fare storia della Chiesa. Solo e soltanto il
credente o anche il non credente? La domanda non è banale e il testo di
Bellardini lo conferma: un uomo non di fede, almeno non di fede cattolica,
manca di quella comprensione delle dinamiche della Chiesa, per cui non ha una
visione nitida e veritiera della realtà. Lo storico credente, allo stesso
tempo, non deve essere un apologeta sfrenato, ma certamente non cadrebbe in
queste banali ed evidenti eresie. Resta il grave principio per cui è la vita
comune, quindi, che fa il Vangelo, la Dottrina e l’insegnamento della Chiesa e
non il contrario. Non è la Chiesa che ha un annuncio da fare, una verità da
rivelare, bensì è il mondo, con la sua continua mutevolezza, che ha da dire
qualcosa e la Chiesa – sostengono i “saggi” – vi si deve adeguare. Anche solo
logicamente il discorso non regge. Non regge a tal punto che solo un clero
apostata può sposare tale identità e missione distruttiva.
“Più ascolto e meno magistero: è da qui che Francesco ha iniziato la
sua rivoluzione”. Come se gli altri Papi non ascoltassero. Che poi sarebbe
come dire, prendiamo ad esempio, una madre o un padre nei confronti del proprio
figlio. I genitori educano i figli a fare i propri bisogni in bagno e non dove
capita; insegnano loro a parlare e a farlo in maniera comprensibile e corretta;
insegnano loro che le mani sul fuoco non si mettono, eccetera. Sarebbe come
dire allora, che siccome i bimbi preferiscono fare la pipì dove capita (tanto
c’è il pannolino), che i tempi moderni sono difficili e imparare a esprimersi è
un’ingerenza nelle libertà espressive del bambino e che le mani sul fuoco si
possono mettere perché tanto quel che conta è che bisogna fare esperienza e
ascoltare piuttosto che annunciare la verità, ecco allora che poi ascolteremo
le grida e i pianti di quel figlio, ustionato nelle mani, incapace a parlare e
che a trent’anni si fa ancora la pipì addosso. Un mito insomma. Solo che, non
si sa perché, questa evidente logica non viene applicata al discorso sulla
Chiesa.
Ovviamente in tutto il libro – è
un classico – per esaltare il leader di oggi si delegittima quello
immediatamente precedente. Il sospetto che il leader di oggi non possegga
qualità e caratteristiche tali da essere esaltato di suo viene. E l’apice della
banalità arriva quando Bellardini scrive: “Le
scarpe sono quelle più modeste, da prete, mentre il suo predecessore non
disegnava le scarpine rosse confezionate da Prada”. A parte l’insofferenza
per Ratzinger che non capiamo e, sinceramente, è piuttosto stucchevole, resta
il fatto che questa delle scarpe di Prada è una grandissima. Ma, pure se fosse,
questa è ipocrisia allo stato puro. Ci ripetete in continuazione che quel che
conta è la sostanza e non la forma e poi vi perdete dietro a un paio di scarpe
pur di sparare emerite idiozie sul conto di Joseph Ratzinger la cui colpa è
stata quella di accettare l’elezione al Soglio pontificio. Colpa mai
perdonatagli, specie dai suoi fratelli serpi vescovi, nemmeno con la tragica
abdicazione.
“L’attitudine alla captatio benevolentiae, che si cela dietro al non
prendere mai posizioni chiare pur di non scontentare nessuno, è una posizione
debole che mina la credibilità del Prodotto dalle sue stesse fondamenta: i
valori. Dire tutto e il contrario di tutto – forse per catturare il maggior
numero di consensi – produce un’ambiguità infinita che, se può non essere colta
(addirittura può essere giustificata) dalle frange integraliste dei cattolici
bigotti – quelli di cui la Chiesa non dovrebbe servirsi pur di “far gregge” –
risulta inaccettabile per tutti coloro che vivono una fede consapevole,
sincera, fondata su valori che si dovrebbe avere ben chiari.”
Queste parole andrebbero
stampate su lamine d’oro e inviate a tutti i vescovadi del pianeta terracqueo,
in modo tale che i signori vescovi le imparino e le facciano proprie, visto che
lo sport preferito dalla gerarchia cattolica è quello di dire tanto per non
dire niente e quando c’è da dire qualcosa di chiaro, di cattolico, o tacciono,
o fuggono o, peggio, dicono eresie, in maniera così confusa da risultare
credibili. Ma il peggio, nel discorso che Bellardini fa nel libro giunge quando
scrive: ”Forse con nuove aperture verso
il sacerdozio femminile e con l’abolizione dell’obbligo del celibato per il
clero Francesco potrà dare un colpo definitivo a certe distorsioni nate da
criteri formativi obsoleti che costringono il personale a stili di vita
anacronistici”.
Questa è follia pura. Non tanto
per le questioni in sé, ma per il ragionamento che non regge le due
proposizioni di cui sopra. Prima si decanta la chiarezza, il non dire tutto e
il contrario di tutto e poi si sostiene il principio per cui la Chiesa dovrebbe
cambiare insegnamento non in virtù di una verità, ma in virtù del tempo, del
mutamento dei convincimenti del mondo e dagli stili di vita di esso. Tra
l’altro registriamo con un lieve sorriso come, in maniera molto velata e senza
intaccare il mito SuperBergoglio, Bellardini deve mandare giù un boccone amaro
sulla mancata volontà di riformare l’insegnamento della Chiesa sulla questione
dell’aborto.
“Il Prodotto della Chiesa (cioè la Dottrina) è un immenso sconfinato
ipertesto. Non si può “leggere” in modo testuale. Rischia di essere
interpretato alla lettera (come del resto si continua a fare da secoli), cioè
in modo “statico”, conservatore. Occorre invece riuscire a trasferire intatta
tutta la sua ipertestualità. È nel suo contenuto profondamente dialogico, nella
sua capacità di produrre conversazione tutta la sua potenza e la sua vitalità.
[…] Ma conservazione è l’esatto opposto di conversazione, perché nel dialogo
entrambe le parti si modificano adattandosi al discorso dell’altro. Altrimenti
tutto quello che si ottiene sono due monologhi fra sordi. Chi vuole il dialogo
deve avere il coraggio e l’intenzione di mettersi in gioco, accettare di poter
venire modificato da quello scambio.”
Tutto questo trova conferma in “Un dialogo è molto di più che la
comunicazione di una verità” [Francesco – Evangelii Gaudium]
Basterebbe ricordare a costoro
che Gesù non si è conformato al mondo, ma si è speso perché il mondo si
conformasse a Lui. Gesù non ha fatto questionari per sapere cosa la gente
pensasse o fosse disposta a praticare nella morale familiare e sessuale, è
venuto e ha predicato. A chi lo ha seguito, a chi avrebbe creduto in quanto da
Lui insegnato ha promesso il Regno dei cieli; per tutti gli altri il fuoco
della Geenna, dove sarà pianto e stridore di denti. Bellardini – che insieme al
disprezzo e all’insofferenza per Ratzinger ogni tot pagine (forse è da
contratto) disprezza tutto ciò che la Chiesa ha sempre fatto e creduto. Questo
può essere comprensibile per un’analisi solo superficiale (in superficie) della
Chiesa considerata come un’azienda, ma anche qui risulterebbe quantomeno
discutibile e ridicolo, per fare un esempio, pretendere che la Fiat si adegui e
produca ci biologici e la Barilla si aggiorni e credi capi di abbigliamento per
animali. Sono cose diverse, ognuno mantenga le proprie competenze. Se la Chiesa
non è morta fino ad oggi, forse Bellardini dovrebbe domandarsi che questo è
accaduto perché Essa è rimasta sempre uguale; ha rischiato e rischia
(umanamente) di morire quando ha pensato di doversi aggiornare e adeguare alle
dottrina mondane. Certo, se l’interesse di Bellardini e simili è quello di
distruggere la Chiesa, eliminare quel gusto che i cattolici hanno (ma non
esercitano perché annacquati) in quanto sale della terra, allora il suo
discorso è ineccepibile. Per tradire sé stessa la Chiesa dovrebbe seguire le
sue indicazioni. Per seguire il Suo Maestro e Signore assolutamente no.
Ovviamente il libro non poteva
non contemplare – dopo aver coerentemente denigrato la teologia – una citazione
del superteologo Vito Mancuso: “Se la
Chiesa non muta non vive. Vogliamo qualcosa di immutabile? Bene, prendiamo una
pietra. Se la Chiesa vuole vivere, deve mutare” Aldilà che questo
ragionamento mi riporta alla mente quello di un noto laico fondatore di un
movimento paraecclesiale che per rifiutare e respingere la pratica
dell’adorazione eucaristica sostiene che se essa fosse voluta da Dio “Cristo
si sarebbe fatto pietra anziché pane”; ma aldilà di questo, andrebbe puntualmente ricordato al
superteologo Vito Mancuso di leggere il Vangelo. capisco che può essere
frustrante, ma è necessario se si vuol parlare di Gesù Cristo e della fede
cattolica. Ebbene, nei vangeli è raccontato che Gesù fonda la Chiesa su una
pietra, qualcosa di immutabile. Gesù non volle, non vuole e mai vorrà che la
Chiesa muti. Lo vogliamo noi? Molti sì. Semplicemente non siete cattolici.
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