domenica 3 agosto 2014

Bigotto come sono, e in quanto tale lettore solo di ciò che mi fa comodo o mi conferma nei miei convincimenti, ho letto il libro Leader come Francesco di Bruno Bellardini che, già dalla copertina, esalta papa Francesco. Ho avuto seri problemi a non gridare la rabbia di tante gratuite banalità e lo sconforto di fronte all’ennesima conferma che Francesco sta con costoro e non a difesa dei cattolici. In Francesco tutti i non cattolici ripongono tante aspettative perché la Chiesa cattolica perda sempre più la sua specificità. I non credenti sperano che la Chiesa cambi così che Essa perda la sua unicità. E che questo avvenga con il placet o con il silenzio del Papa è terrificante. Leggiamo e proviamo a capire, anche e soprattutto da chi vuole che la Chiesa non sia quello che è sempre stata, cioè quella che Gesù Cristo ha voluto.
“Qui c’è il principale tema che Francesco dovrà affrontare: il “Prodotto” della Chiesa è la sua Dottrina. E oggi quella Dottrina non è più in grado di rispondere alle istanze dell’epoca contemporanea, perché non è stata aggiornata, appare obsoleta. Non stiamo affatto parlando della “Parola di Cristo” (ovvero del messaggio, il Vangelo), ma delle sue interpretazioni dogmatiche che mostrano sempre più la corda lasciando i credenti di fronte a conflitti interiori spesso irrisolvibili. La ricerca scientifica e le tecnologie sono sempre più integrate con la vita dell’uomo. Occorre dunque una Chiesa che sappia recepire le nuove istanze che ne derivano, riformulando e attualizzando i suoi principi dottrinari, affinchè questi si armonizzino meglio con la vita comune”.
L’errore – protestante – è la distinzione tra Vangelo e Magistero, tra Vangelo e Dottrina. Queste sono viste in contrapposizione l’una con l’altra; nel Vangelo ci sarebbe l’eldorado, nel Magistero la Guantanamo; nel Vangelo la bellezza e la libertà più totale, nel Magistero la tristezza e la repressione massima. Il problema di fondo è la solita annosa questione su chi può fare storia della Chiesa. Solo e soltanto il credente o anche il non credente? La domanda non è banale e il testo di Bellardini lo conferma: un uomo non di fede, almeno non di fede cattolica, manca di quella comprensione delle dinamiche della Chiesa, per cui non ha una visione nitida e veritiera della realtà. Lo storico credente, allo stesso tempo, non deve essere un apologeta sfrenato, ma certamente non cadrebbe in queste banali ed evidenti eresie. Resta il grave principio per cui è la vita comune, quindi, che fa il Vangelo, la Dottrina e l’insegnamento della Chiesa e non il contrario. Non è la Chiesa che ha un annuncio da fare, una verità da rivelare, bensì è il mondo, con la sua continua mutevolezza, che ha da dire qualcosa e la Chiesa – sostengono i “saggi” – vi si deve adeguare. Anche solo logicamente il discorso non regge. Non regge a tal punto che solo un clero apostata può sposare tale identità e missione distruttiva.
“Più ascolto e meno magistero: è da qui che Francesco ha iniziato la sua rivoluzione”. Come se gli altri Papi non ascoltassero. Che poi sarebbe come dire, prendiamo ad esempio, una madre o un padre nei confronti del proprio figlio. I genitori educano i figli a fare i propri bisogni in bagno e non dove capita; insegnano loro a parlare e a farlo in maniera comprensibile e corretta; insegnano loro che le mani sul fuoco non si mettono, eccetera. Sarebbe come dire allora, che siccome i bimbi preferiscono fare la pipì dove capita (tanto c’è il pannolino), che i tempi moderni sono difficili e imparare a esprimersi è un’ingerenza nelle libertà espressive del bambino e che le mani sul fuoco si possono mettere perché tanto quel che conta è che bisogna fare esperienza e ascoltare piuttosto che annunciare la verità, ecco allora che poi ascolteremo le grida e i pianti di quel figlio, ustionato nelle mani, incapace a parlare e che a trent’anni si fa ancora la pipì addosso. Un mito insomma. Solo che, non si sa perché, questa evidente logica non viene applicata al discorso sulla Chiesa.
Ovviamente in tutto il libro – è un classico – per esaltare il leader di oggi si delegittima quello immediatamente precedente. Il sospetto che il leader di oggi non possegga qualità e caratteristiche tali da essere esaltato di suo viene. E l’apice della banalità arriva quando Bellardini scrive: “Le scarpe sono quelle più modeste, da prete, mentre il suo predecessore non disegnava le scarpine rosse confezionate da Prada”. A parte l’insofferenza per Ratzinger che non capiamo e, sinceramente, è piuttosto stucchevole, resta il fatto che questa delle scarpe di Prada è una grandissima. Ma, pure se fosse, questa è ipocrisia allo stato puro. Ci ripetete in continuazione che quel che conta è la sostanza e non la forma e poi vi perdete dietro a un paio di scarpe pur di sparare emerite idiozie sul conto di Joseph Ratzinger la cui colpa è stata quella di accettare l’elezione al Soglio pontificio. Colpa mai perdonatagli, specie dai suoi fratelli serpi vescovi, nemmeno con la tragica abdicazione.
“L’attitudine alla captatio benevolentiae, che si cela dietro al non prendere mai posizioni chiare pur di non scontentare nessuno, è una posizione debole che mina la credibilità del Prodotto dalle sue stesse fondamenta: i valori. Dire tutto e il contrario di tutto – forse per catturare il maggior numero di consensi – produce un’ambiguità infinita che, se può non essere colta (addirittura può essere giustificata) dalle frange integraliste dei cattolici bigotti – quelli di cui la Chiesa non dovrebbe servirsi pur di “far gregge” – risulta inaccettabile per tutti coloro che vivono una fede consapevole, sincera, fondata su valori che si dovrebbe avere ben chiari.”
Queste parole andrebbero stampate su lamine d’oro e inviate a tutti i vescovadi del pianeta terracqueo, in modo tale che i signori vescovi le imparino e le facciano proprie, visto che lo sport preferito dalla gerarchia cattolica è quello di dire tanto per non dire niente e quando c’è da dire qualcosa di chiaro, di cattolico, o tacciono, o fuggono o, peggio, dicono eresie, in maniera così confusa da risultare credibili. Ma il peggio, nel discorso che Bellardini fa nel libro giunge quando scrive: ”Forse con nuove aperture verso il sacerdozio femminile e con l’abolizione dell’obbligo del celibato per il clero Francesco potrà dare un colpo definitivo a certe distorsioni nate da criteri formativi obsoleti che costringono il personale a stili di vita anacronistici”.
Questa è follia pura. Non tanto per le questioni in sé, ma per il ragionamento che non regge le due proposizioni di cui sopra. Prima si decanta la chiarezza, il non dire tutto e il contrario di tutto e poi si sostiene il principio per cui la Chiesa dovrebbe cambiare insegnamento non in virtù di una verità, ma in virtù del tempo, del mutamento dei convincimenti del mondo e dagli stili di vita di esso. Tra l’altro registriamo con un lieve sorriso come, in maniera molto velata e senza intaccare il mito SuperBergoglio, Bellardini deve mandare giù un boccone amaro sulla mancata volontà di riformare l’insegnamento della Chiesa sulla questione dell’aborto.
“Il Prodotto della Chiesa (cioè la Dottrina) è un immenso sconfinato ipertesto. Non si può “leggere” in modo testuale. Rischia di essere interpretato alla lettera (come del resto si continua a fare da secoli), cioè in modo “statico”, conservatore. Occorre invece riuscire a trasferire intatta tutta la sua ipertestualità. È nel suo contenuto profondamente dialogico, nella sua capacità di produrre conversazione tutta la sua potenza e la sua vitalità. […] Ma conservazione è l’esatto opposto di conversazione, perché nel dialogo entrambe le parti si modificano adattandosi al discorso dell’altro. Altrimenti tutto quello che si ottiene sono due monologhi fra sordi. Chi vuole il dialogo deve avere il coraggio e l’intenzione di mettersi in gioco, accettare di poter venire modificato da quello scambio.”
Tutto questo trova conferma in “Un dialogo è molto di più che la comunicazione di una verità” [Francesco – Evangelii Gaudium]
Basterebbe ricordare a costoro che Gesù non si è conformato al mondo, ma si è speso perché il mondo si conformasse a Lui. Gesù non ha fatto questionari per sapere cosa la gente pensasse o fosse disposta a praticare nella morale familiare e sessuale, è venuto e ha predicato. A chi lo ha seguito, a chi avrebbe creduto in quanto da Lui insegnato ha promesso il Regno dei cieli; per tutti gli altri il fuoco della Geenna, dove sarà pianto e stridore di denti. Bellardini – che insieme al disprezzo e all’insofferenza per Ratzinger ogni tot pagine (forse è da contratto) disprezza tutto ciò che la Chiesa ha sempre fatto e creduto. Questo può essere comprensibile per un’analisi solo superficiale (in superficie) della Chiesa considerata come un’azienda, ma anche qui risulterebbe quantomeno discutibile e ridicolo, per fare un esempio, pretendere che la Fiat si adegui e produca ci biologici e la Barilla si aggiorni e credi capi di abbigliamento per animali. Sono cose diverse, ognuno mantenga le proprie competenze. Se la Chiesa non è morta fino ad oggi, forse Bellardini dovrebbe domandarsi che questo è accaduto perché Essa è rimasta sempre uguale; ha rischiato e rischia (umanamente) di morire quando ha pensato di doversi aggiornare e adeguare alle dottrina mondane. Certo, se l’interesse di Bellardini e simili è quello di distruggere la Chiesa, eliminare quel gusto che i cattolici hanno (ma non esercitano perché annacquati) in quanto sale della terra, allora il suo discorso è ineccepibile. Per tradire sé stessa la Chiesa dovrebbe seguire le sue indicazioni. Per seguire il Suo Maestro e Signore assolutamente no.

Ovviamente il libro non poteva non contemplare – dopo aver coerentemente denigrato la teologia – una citazione del superteologo Vito Mancuso: “Se la Chiesa non muta non vive. Vogliamo qualcosa di immutabile? Bene, prendiamo una pietra. Se la Chiesa vuole vivere, deve mutare” Aldilà che questo ragionamento mi riporta alla mente quello di un noto laico fondatore di un movimento paraecclesiale che per rifiutare e respingere la pratica dell’adorazione eucaristica sostiene che se essa fosse voluta da Dio Cristo si sarebbe fatto pietra anziché pane”; ma aldilà di questo, andrebbe puntualmente ricordato al superteologo Vito Mancuso di leggere il Vangelo. capisco che può essere frustrante, ma è necessario se si vuol parlare di Gesù Cristo e della fede cattolica. Ebbene, nei vangeli è raccontato che Gesù fonda la Chiesa su una pietra, qualcosa di immutabile. Gesù non volle, non vuole e mai vorrà che la Chiesa muti. Lo vogliamo noi? Molti sì. Semplicemente non siete cattolici.

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