In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
[Lc 17,5-10]
Nel leggere questo Vangelo mi veniva da pensare a come spesso ci rapportiamo con gli altri e, inevitabilmente, anche con Dio. Il nostro rapporto con il prossimo è spesso consumistico. Ci relazioniamo con qualcuno, che sia amicizia, amore o semplice frequentazione, solo se l’altro ha qualcosa da darci. In termini fisici, di divertimento, intellettuali, di compagnia, di interesse, economici, di stile di vita, eccetera. L’importante è che da quella persona noi ricaviamo qualcosa. Sono rapporti concepiti mettendo al primo posto noi stessi. Gli altri sono dei servi per noi, ci danno qualcosa. Anche con Dio è lo stesso e ci viene presentata la fede come vera e credibili solo perché otteniamo da Dio qualcosa (pace, benessere, ascolto delle nostre preghiere, eccetera). Ovviamente non siamo sassi, ma spugne, e quanto ci capita intorno ci travolge e lo assorbiamo. Non diamo soltanto, ma molto spesso è più quello che riceviamo. Dagli altri, ma soprattutto – ci mancherebbe – da Dio. Il problema però sta nella concezione dei rapporti e della fede. Perché non siamo noi padroni cui dover soddisfare e servire. Ma è il nostro prossimo che dobbiamo servire. E dopo averlo fatto considerarsi servi inutili, e non aspettarci il plauso, il contraccambio. Servire non è un lavoro cui spetta una retribuzione (non necessariamente economica). Servire è gratuità, è dono. Quante volte, invece, impostiamo le nostre amicizie sul fatto che esse ci danno qualcosa? Quante altrettante volte le nostre relazioni sentimentali sono fondate su quanto l’altro ci dà. In termini di bellezza, di attenzioni, di soddisfacimenti sessuali, eccetera? Eppure il Vangelo in questo senso è chiaro. È l’altro, con la sua storia, le sue ferite, i suoi difetti e le sue mancanze, che dobbiamo servire, che dobbiamo amare. A prescindere da come egli ci contraccambi. Perché questo è l’amore insegnatoci, comandatoci e dimostratoci da Gesù Cristo: morire per me e per ciascuno di noi. E come lo ricambiamo? Con il disprezzo, il peccato, il dimenticarsi di Lui. Ma Dio sta sempre lì, fedele, alla promessa fatta di amarci e di servirci.
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