In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
[Lc 16,10-13]
Ma che problema c’è se alla consacrazione non mi inginocchio e sto in piedi? Quel che conta è lo spirito. Che problema c’è se batto le mani durante le canzoncine della Messa? L’importante è sentire e vivere quell’esperienza. Che problema c’è se un prete non indossa la stola sotto la casula o indossa solo la stola per celebrare la Messa? Quel che conta è, anche qui, lo spirito. Che problema c’è se a Messa ci vado quando davvero me lo sento e non tutte le feste di precetto? Quel che conta è la sincerità. Che problema c’è se non credo, anzi rigetto, buona parte della dottrina cattolica? L’importante è che condividiamo qualcosa in comune. E via via una serie di affermazioni di questo tenore facilmente immaginabili. I problemi relativi a determinate pratiche e dottrine sono molti. Alcuni di ordine psicologico: non se ne capisce la ragione se non la follia. Altri di ordine di eresia: se non sono folli sono eretici, che sono sempre molto intelligenti. Altri ancora, e sono quelli che qui ci interessano, sono quelli relativi all’obbedienza. Alla fedeltà. A chi? Al Papa. Alla Chiesa. Alla sua Santa e Veneranda Tradizione. E, quindi, a Dio stesso. Il problema c’è perché stare in piedi alla consacrazione piuttosto che in ginocchio può sembrare davvero una quisquilia da bigotto tradizionalista; ma è Gesù stesso che comanda fedeltà anche e soprattutto nelle piccole cose. Se Gli disobbediamo in questo, potremmo esserGli fedeli nelle altre cose? Perché non inginocchiarsi alla consacrazione è una disobbedienza. I libri liturgici della Chiesa (gli unici in dovere di normare come ci si comporta) prevedono che i fedeli compiano questo atto di adorazione. Tutte le motivazioni, più o meno strambe, non hanno diritto di cittadinanza. E come possiamo fidarci noi poveri fedeli di quei pastori che permettono e favoriscono tale “minima” disubbidienza? Possiamo essere certi che quando ci parlano di Dio, della Chiesa e dell’uomo lo facciano in maniera fedele e non arbitraria? O magari seguendo qualcuno che non è il Papa? Io qualche difficoltà in merito ce l’ho. Noi cattolici abbiamo ricevuto una ricchezza impressionante, di cui troppo spesso ci dimentichiamo o volutamente ignoriamo: la dottrina cattolica. Dio si è rivelato a noi e noi sappiamo il necessario di chi è Dio e cosa Dio vuole da noi per salvarci. Questa ricchezza non ci è certo stata affidata per meriti. Non chiedetemi perché Dio l’abbia affidata proprio a noi peccatori, ma tant’è. Siamo fedeli a questa ricchezza? La conserviamo gelosamente e la trasmettiamo fedelmente, tale e quale a come l’abbiamo ricevuta? O aggiungiamo e togliamo ciò che noi crediamo sia opportuno togliere e aggiungere? Troppo spesso, altrimenti non parleremmo di crisi, l’atteggiamento dei cattolici, gerarchia compresa, è proprio quello di mancanza di fedeltà. Nelle piccole cose e, di conseguenza, nelle grandi.
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