martedì 5 marzo 2013

Uno dei discorsi più importanti che l’abdicante Benedetto XVI ha fatto prima di ritirarsi da Sommo Pontefice, è stato quello durante l’udienza generale con i parroci e il clero della città di Roma. Il discorso, a braccio, è stata una chiacchierata (così come l’ha definita Lui stesso) sui suoi ricordi al Concilio Vaticano II. Uno dei punti salienti, riguardante la liturgia, è il seguente: 

“Dopo la Prima Guerra Mondiale, era cresciuto, proprio nell’Europa centrale e occidentale, il movimento liturgico, una riscoperta della ricchezza e profondità della liturgia, che era finora quasi chiusa nel Messale Romano del sacerdote, mentre la gente pregava con propri libri di preghiera, i quali erano fatti secondo il cuore della gente, così che si cercava di tradurre i contenuti alti, il linguaggio alto, della liturgia classica in parole più emozionali, più vicine al cuore del popolo. Ma erano quasi due liturgie parallele: il sacerdote con i chierichetti, che celebrava la Messa secondo il Messale, ed i laici, che pregavano, nella Messa, con i loro libri di preghiera, insieme, sapendo sostanzialmente che cosa si realizzava sull’altare. Ma ora era stata riscoperta proprio la bellezza, la profondità, la ricchezza storica, umana, spirituale del Messale e la necessità che non solo un rappresentante del popolo, un piccolo chierichetto, dicesse “Et cum spiritu tuo” eccetera, ma che fosse realmente un dialogo tra sacerdote e popolo, che realmente la liturgia dell’altare e la liturgia del popolo fosse un’unica liturgia, una partecipazione attiva, che le ricchezze arrivassero al popolo; e così si è riscoperta, rinnovata la liturgia.” 
[Benedetto XVI - Incontro con i parroci e il clero di Roma] 

Il Papa sembra sposare le giustificazioni adottate dai riformatori secondo cui, visto che la gente non capiva e si faceva i fatti suoi, è stato necessario modificare la liturgia tanto da renderla comprensibile, partecipabile e fattibile dal popolo cristiano. Mi è venuto in mente un bell’esempio. L’altra sera giocando a calcetto ho, per l’ennesima volta a dire il vero, constatato la mia incapacità a giocarvi. Non so muovermi seguendo uno schema, non so controllare il pallone. Se sto davanti non prendo la porta e fallisco il mio compito; se sto in difesa, ogni avversario mi supera e, anche lì, tradisco il mio ruolo. È frustrante sentirsi inutile, fuori dal gioco, incapace di dare il proprio contributo, impossibilitati a fare ciò per cui si sta lì. Vedere gli altri segnare, esultare, fare delle belle giocate, ottimi interventi, è bello da vedere, ma umiliante non riuscire a farlo da me stesso. È una sofferenza non partecipare attivamente alle azioni del gioco, alla partita intera. Ma, a fronte di questa situazione, non ho mai pensato di modificare le regole del calcetto per sentirmi più partecipe, protagonista e coinvolto; tantomeno ho pensato di chiedere all’UEFA di fare ex novo un gioco del calcetto in cui io e tutti quelli scarsi come me potessero sentirsi partecipi. Un gioco in cui l’errore, l’incapacità, divenissero la regola, in modo tale che da scarso diventassi un fenomeno. Quello non è più calcetto. Le cose sono due: o cambio sport o guardo chi è capace a giocare, e godo e mi diverto a veder fare cose per me impossibili, ma allo stesso tempo affascinanti (anzi forse affascinanti proprio per questo). Da spettatore, tifoso. Incidendo sulle sorti della gara con il mio tifo. 

Purtroppo la costruzione di un altro sport, per molti, troppi, aspetti, diversi da quelli del calcetto, è quello che è accaduto con la liturgia della Chiesa. Non so cosa sia cambiato nel pensiero di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI che, da Cardinale, molte e molte volte si espresse in maniera molto critica sulla riforma liturgica. Non sulla riforma in sé, ma su come venne realizzata. “[Nella riforma liturgica] si fece a pezzi l’edificio antico e se ne costruì un altro, sia pure con il materiale di cui era fatto l’edificio antico e utilizzando i progetti precedenti” [J. Ratzinger] e “Il risultato [della riforma liturgica] non è stato una rianimazione, ma una devastazione[... ]. Al posto della liturgia frutto di uno sviluppo continuo, è stata messa una liturgia fabbricata. Si è usciti dal processo vivente di crescita e di sviluppo per entrare nella fabbricazione. Non si è più voluto il divenire e la maturazione organica di Dio che vive attraverso i secoli e lo si è sostituito a mo’ di produzione tecnica, con una fabbricazione banale del momento” [“Prefazione” a Klaus Gamber - La réforme liturgique en question] (citazioni tratte da http://www.miradouro.it/node/44947

Sia chiaro che la liturgia nuova è valida, anche per il semplice fatto che è stata così permessa da uno o più Papi. Sono allergico, infastidito, turbato e umiliato dagli slogan “così ha voluto il Papa”, “il Papa lo ha approvato”, eccetera. So un po’ che molte cose sono andate perché così lo hanno voluto dei pontefici. Ciò più che tranquillizzarmi sconvolge. E non entro in questo campo perché laddove potrei citare mille espressioni del Magistero della Chiesa in favore e in difesa di una cosa (anche della liturgia di sempre), troverei e mi si potrebbero far notare mille e uno espressioni dello stesso Magistero della Chiesa che permette l’esatto contrario. Questa a detta di alcuni si chiama apertura mentale, a detta di altri, come me, di dubbia sanità mentale. Con tutta la riverenza e l’obbedienza che porto, più di tanti altri ciarlatani, al Sommo Pontefice, al Successore di San Pietro, e a Santa Romana Chiesa, se esprimo certe perplessità è proprio in virtù di questo amore, viscerale, che ho con il Trono Petrino. 

Nella riforma liturgica, così com’è stata concepita e realizzata, si ode il sinistro suono di tutte le ideologie: farle passare come rivoluzioni popolari, quando invece di popolare non hanno nulla, visto che sono realizzate da pochi, oltretutto contro l’interesse e la volontà del popolo stesso. Ed è quello che Enrico Maria Radaelli scrive nel suo Sacro al calor bianco, studio in cui confronta la liturgia di san Pio V e quella di Paolo VI: 

“Il popolo non chiese assolutamente mai, onde meglio comprenderla, una liturgia mutata o mutilata. Chiese di meglio comprendere una liturgia immutabile e che mai avrebbe voluto che si mutasse. Il Messale Romano di san Pio V era religiosamente venerato e carissimo al cuore dei cattolici, sacerdoti e laici. Non si vede in che cosa l’uso di esso, con l’opportuna catechesi, potesse impedire una più piena partecipazione e una maggiore conoscenza della sacra liturgia e perché, con tanti eccelsi pregi che gli sono riconosciuti, non lo si sia stimato degno di continuare a nutrire la pietà liturgica del popolo cristiano.” 
[E. M. Radaelli – Sacro al calor bianco] 

Come si vede, per l’ennesima volta, la storia dell’incomprensione del rito o della spaccatura tra prete e fedeli, non è una giustificazione valida. È stata usata come un pretesto, come un grimaldello, per scardinare ciò che di più prezioso la Chiesa ha. E ci si è, non del tutto ovviamente, anche riusciti. Le conseguenze le vediamo in continuazione. Riusciremo ad ascoltare quanto prima, parole chiare e coraggiose in questo senso, con i dovuti atti che ne dovranno conseguire, da chi è chiamato e legittimato a farlo? Parole e atti che si assumano la responsabilità di quanto accaduto, con tutta la gravità del caso, senza ricorrere a giustificazioni palesemente limitate e ideologiche?

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