giovedì 7 marzo 2013

“Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede.” [2Tm 4,7] Così san Paolo. Come ho scritto tempo fa, questa espressione mi piacerebbe riuscire a dire di me stesso alla fine della mia vita (che potrebbe essere ora come tra quarant’anni). Proprio perché la morte può sopraggiungere in qualsiasi, anche questo, momento, mi prodigo per questa battaglia. La battaglia della fede cattolica. In difesa, principalmente. San Paolo lo dice chiaramente: ho conservato la fede. Questo è il mio cruccio, personale, maggiore: conservare la fede. Come conservarla in una Chiesa dove la fede viene distrutta ogni santo giorno che Dio manda in terra? Come conservare la fede in una Chiesa dove qualsiasi cosa che sa di “conservare”, “custodire”, “difendere”, eccetera, puzza di morto e viene visto come il male più grande? Come conservare la fede in una Chiesa piena di eretici? Non lo so, ma ci provo lo stesso. Nel frattempo bisogna combattere. Contro poteri mediatici ed ecclesiali più forti delle mie misere forze. Ma che battaglia posso combattere io, Daniele, cattolico peccatore e insignificante? Innanzitutto va precisato che stiamo parlando di battaglia, non della guerra. La guerra l’ha combattuta e la combatte l’Unico in grado di vincerla: Nostro Signore Gesù Cristo. La guerra, però, è composta di battaglie. Queste spettano a noi. Anche perché, nonostante il buonismo imperante, nelle battaglie si può perire. Noi stessi e tutti coloro che ne sono, volenti o no, coinvolti. La mia è una battaglia, una parte della guerra. Tutti coloro che svolgono altre battaglie non sono da disprezzare, criticare o condannare, ma anzi da esaltare e, se possibile, aiutare. Ma magari agiscono in campi dove non posso essere d’aiuto. Ecco allora il dovere (non il piacere, ma per me c’è anche il gusto di farlo) di combattere in difesa della fede. Ripeto la domanda: che battaglia posso combattere io, Daniele, cattolico peccatore e insignificante? Ci ho riflettuto un po’ e ho trovato, con le dovute differenze e annesse difficoltà, tre strade. Innanzitutto specifico meglio l’obiettivo della mia battaglia: la difesa della fede cattolica, nella sua espressione cultuale (la liturgia) e nella sua espressione dottrinale (appunto, la dottrina). Odio gli abusi, anche minimi, liturgici e le eresie. Le due cose sono ovviamente legate: lex orandi lex credendi. Se credi che Gesù è Dio ti inginocchi, non ti ci si presenti davanti con le mani in tasca. Se credi che la Messa è la riproposizione del Sacrificio di Cristo sul Calvario non ti metti a battere le mani e a strimpellare la chitarra. Due esempi banali ed evidenti di come dottrina e liturgia siano connessi e inscindibili essendo la liturgia espressione della fede. Credo bene, dunque prego bene. Se prego male, credo anche male. Quali sono, allora, queste tre strade per combattere la mia buona battaglia? Le ho così definite: teologica, magisteriale e logica. 

La strada teologica è quella che, di fronte a tutti gli abusi e le eresie imperanti nella Chiesa cattolica, si risponda con l’uso della sana teologia. Questa è una strada a me preclusa. Lo dico senza fingere di essere chi non sono. Non sono un teologo e non ho le competenze necessarie in questo senso. Peccherei di presunzione e farei danni inversamente proporzionali alle mie buone intenzioni. 

La strada magisteriale è quella che, di fronte a tutti gli abusi e le eresie imperanti nella Chiesa cattolica, si risponda con i documenti del Magistero della Chiesa cattolica che normano la liturgia o definiscono la dottrina (in maniera sintetica il Catechismo). Questa è una strada percorribile da chiunque fosse animato da pazienza e buona volontà, ma la pazienza e la buona volontà verranno presto minate (e forse distrutte) dalla costatazione che ad ogni pronunciamento chiaro del Magistero della Chiesa cattolica corrisponde quasi sempre un altrettanto pronunciamento ambiguo dello stesso Magistero della Chiesa o di qualche suo organo collegiale da qualche decennio particolarmente in voga. Intraprendere questa strada è una battaglia certa e sicura, ma molto difficile, si rischia di perdere la fede. Specie se, in ultimo soccorso, si ricorre alla Tradizione. La gloria è certa, ma anche l’umiliazione di constatare quanto troppo spesso, ci si allontani da essa. 

La strada logica, infine, è quella che, di fronte a tutti gli abusi e le eresie imperanti nella Chiesa cattolica, si risponda con la logica, il paradosso e l’ironia. Per percorrere questa strada si deve disporre di tanta ironia, di tanta pazienza e di tanto gusto. Quando ci si riesce a togliere qualche soddisfazione (raro, ma non impossibile) bisogna anche saper godere di quanto fatto. È una strada molto efficace, per quanto spesso difficile da realizzare. Dimostrare certe contraddizioni è difficile, nonostante sia ovvio che si sta parlando di abusi ed eresie. Per intraprendere questa strada bisogna essere muniti di un ottimo antivirus cattolico (capace di attivarsi al primo cenno di deviazione) e di tanta fantasia sulla quale mostrare l’ottusità di tante strampalate teorie e annesse pratiche. 

Di lavoro ce n’è tanto. Ognuno scelga la propria strada. Ma non rinunci a combattere. Per il bene proprio e la gloria della Chiesa cattolica.

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