martedì 26 febbraio 2013

“In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».” 
[Lc 13,1-9] 

Due considerazioni da fare, legate tra loro. La prima, semplice e immediata, e forse proprio perché tale troppo spesso trascurata, è che Gesù non si fa problemi a intimare alle persone ivi presenti la condanna eterna. Gesù non usa un linguaggio pastorale, ammodernato, simpatico, coinvolgente, che risponda alle attese dell’uomo, comodo, politicamente corretto (e corrotto), dolce o entusiasmante; dice le cose brutalmente, chiaramente: se non vi convertite, perirete. Laconico. Sintetico. Immediato. Vero. Oggi assisteremmo a un sinodo dei vescovi, a una conferenza episcopale, regionale, internazionale o intergalattica, che per dire le stesse cose impiegherebbe centoventi pagine, usando un linguaggio noioso e contorto, e che direbbe tutto e il contrario di tutto. Manterrebbe il piede in due scarpe, nel solito gaio modo moderno di parlare e non dire niente. Oltretutto quel che dovrebbe dire eviterebbe di farlo, proprio perché non adatto alle persone oggi presenti nelle chiese o nei luoghi dove i preti e i cattolici dietro a loro parlano. La conversione, prima di tutto, tende proprio a questo: a evitare l’inferno. Oddio, l’inferno. Non se ne deve parlare!, sennò i bambini si spaventano, gli adulti si innervosiscono e i vecchi si sentono persi. Eppure Gesù questo dice. Devi convertirti per essere salvato. Da cosa? Dalla morte eterna, dall’inferno. Non devi convertirti perché è cool partecipare ad eventi megagalattici con il Papa; non devi convertirti perché poi tutto va bene, sei felice, senza problemi, traboccante amore da tutti i pori. La conversione è per la salvezza. Che poi essa, inevitabilmente, ma solo come evento secondario, generi anche un effetto positivo a livello sociale è indubbio, nessuno lo vuole disconoscere. Tantomeno chi, come il sottoscritto, la storia della Chiesa la prende tutta (non solo gli inizi mitici o altre parti a piacimento) e in essa riconosce come il cattolicesimo abbia generato in maniera esemplare, magnifica, unica, tanto da andarne fieri e orgogliosi e non andando a elemosinar perdoni, una bellezza e una civiltà impressionante e irripetibile. E qui si fonda la seconda riflessione. Ottima per i tempi di oggi. Noi pensiamo che la crisi che stiamo vivendo sia una crisi economica. Che basti controllare lo spread, alzare le pensioni, punire chi ha tanti soldi anche chi è “reo” di averli onestamente guadagnati, eccetera, eccetera. Invece non è una crisi economica quella che stiamo vivendo. Quella di oggi, come quelle di tutti i tempi della storia, è una crisi morale, religiosa. Estirpando Dio, il Dio cattolico, dalla società, questi sono gli effetti. Se non ci convertiamo continueremo a perire in queste condizioni. La conversione è sì prima personale, ma deve essere anche delle strutture sociali. Per questo non credo nelle elezioni e nelle votazioni svolte in questi giorni. Perché tanto, che al governo salga Tizio, Caio o Sempronio, volenti o meno, certe leggi in Italia arriveranno lo stesso. Qualcuno favorendole, altri rassegnandosi. Così come le leggi sull’aborto e sul divorzio sono entrate in Italia durante governi che si dicevano cristiani; tanto più ciò accadrà oggi che l’essere cristiani è un’onta da cancellare ad ogni costo dal proprio curriculum politico. Se al governo andrà la sinistra le leggi sulle unioni omosessuali, sulle adozioni alle coppie gay, sull’eutanasia, sulle manipolazioni genetiche e quant’altro verranno perseguite. Se al governo andasse un partito (o coalizione) contrarie a queste aberrazioni (e vorrei trovarlo nel panorama italiano), non avrà la forza per evitare che vengano approvate. O perché con il grimaldello della giustizia verranno introdotte nel nostro Paese, a colpi di “casi limite”, o perché il governo europeo imporrà a tutti i Paesi membri (come già fa) leggi contrarie alla moralità e che dimostrano evidentemente come a governare non sia il governo nazionale, ma un potere che sta da un’altra parte. Non so dove ed evito facili dietrologie, ma certamente non sta nei loghi sulle schede elettorali.

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