sabato 5 gennaio 2013

Ultimamente nella Chiesa cattolica si fa un gran parlare di liturgia. Questo grande profluvio di espressioni probabilmente è dovuto al fatto che la liturgia non sembra più essere qualcosa di certo, di definito, ma qualcosa di componibile, di determinabile, ad uso e consumo di chi lo determina e lo compone. Basta girare nei blog cattolici o in qualche parrocchia, per accorgersi di come, già dal linguaggio, ci sia una percezione quantomeno discutibile della liturgia. Espressioni tipo “preparare la celebrazione”, “facciamo una Messa” o “che segno facciamo Domenica alla Messa dei bambini?” ricorrono così tanto che sono diventate normali per le generazioni cresciute ed educate con questi ragionamenti. Tanto che oggi, richiamare all’ordine, ricordando che esistono dei libri liturgici che bisogna seguire, viene considerata una colpa da espiare con l’accusa di essere bigotti, quadrati, inespressivi e antichi. Non è questo il momento di entrare nei meriti del perché della legge liturgica, basti però sapere che essa c’è (negli ultimi decenni sempre più blanda, ma c’è) e che il suo esserci non è un limite all’espressività della fede e della devozione delle persone, ma è garante della santità della liturgia stessa. Ci torneremo sopra, anche invitando alla lettura dell’ottimo testo di Daniele Nigro, I diritti di Dio (Sugarco). Allo stesso tempo, girando i blog in cui si dibatte l’annosa questione neocatecumenale (c’è una questione neocatecumenale nella Chiesa, a riprova del fatto che è un corpo estraneo in Essa) o negli altri siti dove si parla di liturgia, ci si imbatte quotidianamente in utenti che difendono le più bislacche, immotivate e ingiustificate innovazioni liturgiche, con una serie di argomentazioni alle quali spesso risulta difficile rispondere. La difficoltà non è sinonimo della loro veridicità, sia chiaro, quanto piuttosto della pericolosità di queste argomentazioni. La più classica difesa di ogni stramberia è quella della ripresa di simbologie, riti, pratiche e quant’altro della Chiesa delle origini. Simbologie, riti e pratiche che successivamente la Chiesa ha abbandonato e che presunti santi moderni vorrebbero riprendere. Ammesso e non concesso che questo sia vero, non si giustifica nulla, nemmeno una virgola, di ogni mutazione liturgica. La liturgia non si può modificare a proprio uso e consumo. Non è un vestito sul quale ognuno può apportare le modifiche che meglio crede. Nemmeno il miglior sarto del pianeta può permettersi tale operazione. A maggior ragione se non è il campo di propria competenza. Un meccanico si occupa di automobili, un medico del corpo umano, perché un pittore si dovrebbe mettere a manipolare la liturgia? Risposte alle quali probabilmente mai nessuno sarà capace di fornirmi una risposta. Fatto sta che la liturgia non è più un qualcosa di unico e di certo e tale affermazione è verificabile da chiunque, disposto di buona volontà, si metta a girare, nello stesso giorno (meglio la Domenica) per due, tre o più messe di diverse parrocchie. Può star certo che mai troverà le identiche cose. Eppure stiamo parlando della stessa nazione, della stessa città, a volte anche dello stesso quartiere. L’apoteosi del delirio è quando nella stessa chiesa, ad orari diversi, si assiste a messe diverse. Questa situazione è divenuta insostenibile per i fedeli semplici, come lo scrivente, che amano la Chiesa e la sua Santa e veneranda Liturgia. Fedeli semplici che amano anche il buon senso e la sanità mentale (oltre che la santità), che vengono spazzate via dai contorti ragionamenti tesi a giustificare ogni pratica innovativa nella liturgia. Come dicevo sopra, soprattutto girando nei blog, quando si denuncia un abuso, un’anomalia liturgica, la prima cosa che si fa è quella di citare, a presunta giustificazione, qualche cavillo di qualche libro liturgico. Se poi si va a leggere si può star certi che nella quasi totalità dei casi si tratta di un’eccezione concessa in determinati casi di cui i novatori hanno fatto la regola, la norma. Ma la norma rimane un’altra. Che viene ordinariamente disattesa e tradita. Nell’altra percentuale dei casi (quelli non giustificabili con i cavilli) si ricorre alla suddetta spiegazione “nella Chiesa primitiva si faceva così”. Qui il semplice fedele rimane spiazzato. Non ha studiato tutta la storia della Chiesa, tantomeno la sua storia liturgica. Prova ad abbozzare delle controprove, ma fa fatica e il risultato è che l’apologeta delle innovazioni liturgiche passa come il vincitore della discussione. A questo proposito mi piace riproporre, in veste più specifica, una metafora che ho coniato e che già ho proposto tempo fa sempre parlando della liturgia e della sua forma. Immaginiamoci di aver ricevuto in regalo una bottiglia di un buon vino e che vogliamo invitare degli amici a casa per brindare. Torniamo a casa e vediamo che nella credenza abbiamo dei bicchieri di carta. Lo sconforto è palese: si sa che il vino nei bicchieri di carta non rende. Andiamo in salone e ci ricordiamo di quel servizio di vetro ricevuto, magari, il giorno del nostro matrimonio. Rincuorati prendiamo questi bicchieri, li mettiamo in tavola e aspettiamo felici i nostri amici. Tra questi, quando arrivano, c’è un qualificato sommelier che apprezza il vino che gli abbiamo offerto, ma che, ci confida, avrebbe gustato meglio se avesse avuto a disposizione quei bicchieri appositi per la degustazione del vino. Bene, fatti i dovuti parallelismi, non si può giustificare il fatto di voler bere ancora il vino in contenitori di terracotta (o del materiale di cui erano fatti i calici dell’antichità) quando l’abilità umana ha scoperto il vetro e l’ha formato per metterci il vino dentro. Nel corso dei secoli questa specializzazione è migliorata, tanto che oggi assistiamo a una grande varietà di tipi di bicchieri, buon per vini diversi (bianchi, rossi, dolci, spumanti, eccetera). La Chiesa, nel corso della sua storia, ha specializzato questa sua capacità liturgica, fornendo ai fedeli un bicchiere sempre più capace di permettergli di gustare la bontà del vino che Nostro Signore gli offre durante la liturgia. Ridursi a continuare a usare la terracotta o l’argilla, oltre che ottusità e disobbedienza, dimostra crudeltà e idiozia. L’ottusità perché non si vedono i miglioramenti di ciò che la Chiesa nella sua gloriosa storia ha prodotto. La disobbedienza perché, repetitia iuvant, solo l’Autorità della Chiesa può modificare alcune parti della liturgia, non il primo pinco pallino qualunque. La crudeltà perché si privano i fedeli dei tesori preziosi della sana liturgia. L’idiozia perché si pretende di giustificare tale tradimento con giustificazioni che rasentano il ridicolo.

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