giovedì 1 novembre 2012

Il 31 ottobre 1512, esattamente cinquecento anni fa, Papa Giulio II inaugurava la Cappella Sistina, con gli affreschi di Michelangelo, recitandovi i Primi Vespri della Solennità di tutti i Santi. Lo stesso ha fatto Benedetto XVI rievocando quel felice evento. Quella era una chiesa (uso la minuscola per evitare fraintendimenti dottrinali, cari ai modernisti) che oggi considereremmo sfarzosa, bigotta, conservatrice, chiusa al mondo, clericale, eccetera. Dove il potere e la ricchezza che deteneva, per noi illuminati e aggiornati contemporanei, sarebbe un disgustoso e pericoloso impedimento alla realizzazione dell’obiettivo spirituale che alla Chiesa (torno alla maiuscola) compete. Eppure, quella Chiesa, da lì a cinquant’anni celebrerà il Concilio di Trento che, checché ne dicano modernisti di ogni sorta, diede certezze e importanti riforme alla cattolicità, piuttosto che gettarla nel baratro della confusione, dell’opinabile, dell’aggiornamento e dell’ammodernamento. A tal proposito il prossimo anno, il 2013, ricorre l’anniversario dei 450 anni dalla chiusura del Concilio di Trento; dubito fortemente a livello ecclesiale se ne farà memoria. E tale damnatio memoriae tanto puzza di contrapposizione della chiesa (la minuscola torna d’obbligo) attuale a quella d’allora. Senza cadere in facili e improponibili anacronismi, senza volerci piangere addosso (per quanto sarebbe facile, molto facile), fa riflettere, molto, le differenze che tanti ammodernamenti (voluti o subiti) hanno portato alla chiesa e alla fede. Quella chiesa piena di soldi, potere, incenso e sacrifici, ha prodotto cose come la Cappella Sistina (tanto per rimanere all’esempio attuale). La chiesa di oggi cosa produce? Nelle nostre chiese troviamo o pareti bianche da manicomio o nuove estetiche dal gusto (e dalla dottrina) quantomeno discutibile (dove discutibile è una grazia che concedo per non offendere nessuno, non riuscirei ad esimermi dal farlo). Certo, non ci sono Michelangelo del 2012, vero. Ma questo non significa che al primo imbrattatele di turno dobbiamo concedere il nullaosta per riempire le chiese. Quella chiesa che tanto viene detestata, con quel potere e con quei soldi (tanto per dirne una), produsse quello di cui ancora oggi godiamo. Quello che ancora oggi produce ricchezza (non solo economica). Fra cinquecento anni potremo dire lo stesso delle opere che arredano le nostre chiese oggi? Credo di no. C’è da pregare il buon Dio che quanto prima ridoni a noi cattolici una Chiesa fiera di sé stessa, della sua gloriosa storia. Perché la Chiesa è una realtà storica, incarnata come si è incarnato il Suo Divino Fondatore. Non è solo un qualcosa di spirituale, di aureo, astratto. Non è nemmeno solo quello che noi vediamo, composta dalle persone che conosciamo. È una Chiesa che fa parte della storia e che essa ha molto spesso felicemente determinato. Storia fatta sì di mancanze ed errori dei suoi ministri, ma che ha prodotto cose meravigliose. C’è da pregare il buon Dio che quanto prima ridoni ai suoi ministri il gusto del vero e del bello. E che la smettano di rincorrere novità che, dopo l’orgasmo del momento, lasciano un vuoto miserabile e una miseria impressionante. Il nuovo non fa parte della Chiesa, perché ciò che le è proprio, è l’eternità.


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