venerdì 9 novembre 2012

A volte leggendo o ascoltando i discorsi dei cattolici, sembra di avere a che fare con dei rappresentanti di un prodotto. Della fede cattolica si presentano solo determinate caratteristiche, spesso accessorie e soprattutto travisate, e si tralasciano gli elementi centrali, fondamentali. A sentirli parlare, queste nuove generazioni di cattolici (tranne minimi, ma importanti e interessanti segni di sanità dottrinale), bisogna essere cattolici perché questo fa bene, fa sentire meglio, provoca gioia. Il termine “gioia” ricorre al secondo posto, dopo l’irraggiungibile “amore”, nella classifica delle parole usate nel cattolicese moderno. Direttamente proporzionale all’uso è l’abuso e la confusione che intorno a questi termini si realizza. L’errore di fondo, credo, oltre a trascurare impressionanti verità di fede, è nel pericolo in cui si incorre in questa presentazione della fede. Innanzitutto, cosa non da poco, la fede non è un bene in sé perché mi fa star bene su questa terra, in questa vita. Se così fosse avrebbero dichiarato il falso sia san Paolo (cfr. Rm 8,18 e 2Cor 4,17) sia, tanto per fare un esempio, la Madonna a Bernadette quando le apparve a Lourdes. La preoccupazione per la vita eterna sembra non rientrare più negli interessi del cattolico. O perché ereticamente pensa di essere già salvo e allora può solo gioire, o perché non pensa di potersi salvare, e allora tanto vale illudersi di gioire, godendo dei piaceri di questa terra, di questa vita. Variando il fine che una cosa si propone di raggiungere quella stessa cosa finisce di essere tale e si trasforma in un’altra, non è più la stessa. La fede cattolica se non si pone il problema della salvezza, della vita, a che serve? Che me ne faccio dei sacramenti, delle Messe, delle preghiere, della Chiesa, del Vangelo, eccetera, se tutto ciò non serve a salvarmi? Se il Vangelo è la storia di come vivere felici, in armonia con gli amici, se la Chiesa è l’insieme delle persone che si amano, se la Messa è la riunione intorno ad un tavolo di quelle stesse persone che si amano, se la preghiera è una chiacchierata con il capo di quelle persone che si vogliono bene che una volta ogni tanto si riuniscono intorno ad un tavolo (magari schitarrando, strillando e danzando), a che serve tutto ciò? Se non mi devo salvare, tanto vale cedere ai piaceri del mondo e alle mode del momento. Ed è quello che sembra accada in una presentazione della fede che sembra più rispondere ai precetti del marketing che a quelli della Chiesa. Infatti, si esalta sempre e comunque questo benedetto aspetto gioioso tanto che, se una volta una lacrima ruga il tuo volto, o un senso di tristezza sfiora i tuoi occhi, ti vien da domandarti, perplesso, se la fede ce l’hai davvero. E in tal senso risultano illuminanti le seguenti parole: 

“Oggi la vita è presentata ai giovani come gioia, prendendo la gioia in isperanza, che serena l‘animo in via, per la gioia piena che la appaga soltanto in termino. La durezza dell’umano vivere, dipinto un tempo nelle orazioni più frequentate come valle di lacrime, viene negata o dissimulata. E poiché con quello scambio la felicità viene figurata come lo stato proprio dell’uomo e dunque dovuto all’uomo, l’ideale è di preparare ai giovani una strada «secura d’ogn’intoppo e d’ogni sbarro (Purg., XXXIII, 42»). Perciò ai giovani pare ingiustizia ogni ostacolo da saltare e lo sbarro è riguardato non come prova, ma come scandalo. Gli adulti hanno ripudiato l’esercizio dell’autorità per voler piacere, giacché credono non potere essere amati se non carezzino e non piacciano. Conviene loro il monito del Profeta: «Guai a quelle che cuciono cuscini per ogni gomito e fanno guanciali per le teste di qualunque età» (Ez, 13,18).” 
[R. Amerio – Iota unum] 

“Se invece coltiviamo l’idea che la vita debba essere di base ricchezza e abbondanza e giustizia e felicità, tutte le volte che non siamo ricchi, felici, giulivi e circondati da letizia e giustizia riteniamo che ci sia stato qualcuno che ha rubato quanto ci spettava.” 
[S. De Mari – La realtà dell’orco] 

Questa è una perfetta fotografia delle cause dell’incapacità e dell’immaturità delle nuove generazioni. Anche la fede, seguendo il solito stucchevole mantra di apertura al mondo e di coinvolgere più persone (specie se giovani), è diventata un prodotto del mercato. Sì, anche il mercato del religioso. Ciò che è più conveniente prendo. Ciò che serve a placare le mie voglie lo seguo, tutto il resto non è di mio gradimento. La fede diventa una questione di share e per lo share si fa di tutto, si sa, anche ridursi polemicamente in mutande.

Nessun commento:

Posta un commento