lunedì 17 settembre 2012

Quando si parla di musica per la liturgia si commettono numerosi errori. Il problema sta a livello concettuale, ideale, che poi svolgendosi produce i frutti che ben conosciamo. Il fatto è che troppo spesso, i frutti di tali concezione non sono riconosciuti come erronei, ma anzi vengono esaltati e perseguiti con convinzione (sebbene anche il tempo ha dimostrato il loro fallimentare utilizzo) Perché questo? La causa, come dicevo, sta all’origine, e cioè nell’idea che si ha della liturgia e di come ad essa ci si deve accostare. Se della liturgia si pensa che sia un qualcosa prodotto dalla comunità che “la celebra” e la vive, che debba provocare ed esaltare le esigenze e i vizi della comunità stessa, allora è normale e legittimo che in una liturgia di questo tipo non ci sia posto per il sacro (inteso come qualcosa altro rispetto a ciò che è profano), per la solennità e per la tradizione, ma, in una visione meramente orizzontale, si applicano alla liturgia gli stessi criteri che si applicano per i raduni di persone per incontri profani. Così che tra una liturgia e una riunione condominiale forse cambia poco: al massimo lo spazio sacro laddove ancora lo si riconosca come tale e si celebrino le liturgie negli spazi sacri. Nella visione orizzontale della liturgia (che rinnega sé stessa, perché non si rivolge più a Dio, ma solo ai presenti), per quel che riguarda la musica, si usano gli strumenti, i suoni e le musiche tali e quali a quelle che si usano per i concerti da stadio. Le differenze sono due. E riguardano i testi. La prima differenza riguarda nell’invenzione totale di canti “da chiesa”. Essi, ad un livello banale, melenso e patetico, citano il nome di Gesù (più che quello di Dio) e riempiono il testo di banalità che sfiorano molto spesso, laddove non lo invadono, il campo dell’eresia. La seconda differenza sta nell’adattamento dei canti fissi della liturgia (il Gloria, l’Agnus Dei, ecc) agli strumenti che in essa si utilizzano. Ecco che allora i testi di questi canti vengono trasformati in strofe e ritornelli (tradendone profondamente la natura e il senso) ai quali, inevitabilmente, fanno da contraltare gli orribili battiti delle mani. Tutto questo per dare ritmo alla celebrazione e per suscitare l’emotività dei fedeli. Il che ovviamente è vero. Ma cosa ancor più vera è che il ritmo e questo modo scadente di provocare l’emotività della gente, non fanno parte della concezione cattolica della liturgia. A tal proposito riporto un bellissimo e intenso brano dell’allora card. Joseph Ratzinger (per chi non lo sapesse è diventato Papa Benedetto XVI), in cui parla proprio della musica per la liturgia: “In questo senso l'accettazione della musica nella liturgia dev'essere un'accettazione nello spirito, una trasformazione, che significa parimenti morte e resurrezione. Per questa ragione la Chiesa dovette essere critica nei confronti della musica che essa aveva trovato presso i vari popoli; essa non poteva am­mettersi immutata nel santuario: il culto musicale delle religioni pagane ha, nell'esistenza umana, un al­tro posto e un altro valore, diversi dalla musica della glorificazione di Dio tramite la creazione. Essa tende in molti casi, attraverso il ritmo e la melodia, a pro­vocare l'estasi dei sensi; con ciò non innalza però ve­ramente i sensi allo spirito, ma tenta di avviluppare lo spirito nei sensi e di liberarlo con questo tipo di estasi. Ma in siffatta distrazione dei sensi, che ritorna nella moderna musica ritmica, «Dio» e la salvezza dell'uomo sono collocati assolutamente altrove che nella fede cristiana. La coordinata dell'esistenza e del cosmo nel suo complesso è tracciata diversamente, an­zi in senso inverso. Qui la musica può effettivamente trasformarsi in una «tentazione» che conduce l'uomo a una mèta sbagliata. Qui non si fa della musica diretta alla purificazione, ma allo stordimento. Se residui del­la musica pagana dell'Africa passano così facilmente nella musica pagana postcristiana, se ne può trovare la ragione estrinseca nell'analogia di determinati elementi formali; la motivazione più profonda consiste però nel contatto fra impostazioni spirituali di fondo, di una concezione della realtà che può essere in definitiva «pa­gana» e pertanto primitiva nel bel mezzo dell'illumini­smo di un mondo dominato dalla tecnologia. La musi­ca che intende diventare mezzo di adozione abbisogna di purificazione; soltanto così può essa stessa purificare ed «elevare».” [J. Ratzinger – La festa della fede]

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