Tra poco meno di un mese per la Chiesa cattolica (per chi ancora segue in tutto il Papa e non solo quando gli fa comodo) inizierà l’Anno della Fede. Un’occasione importante, fortemente voluta da Benedetto XVI che, com’è prevedibile, troverà forti contrasti e pesanti indifferenze. E tra i sostenitori bisognerà vedere, anche se le previsioni non sono certamente rosee (altrimenti non si spiegherebbe l’utilità di indirlo un Anno apposito per la Fede), chi agirà verso la fede cattolica e chi agirà verso qualsiasi altra cosa, ma non la fede cattolica. Al termine dell’Anno ci saranno da parte di molti elogi ed entusiasmi, ma bisognerà vagliarli per capire realmente la riuscita dell’evento. Se, nella confusione in cui vive la Chiesa, si sarà riusciti, anche poco, a spiegare, mostrare e annunciare cosa sia la Fede cattolica, sarà stato un successo; qualora ciò non sarà stato possibile quest’Anno sarà stato un disastro che, aldilà delle intenzioni, avrà provocato più danni che benefici. Il rischio c’è, non è solo il timore di un incompetente. In merito alla Fede, in quest’Anno della Fede, credo sia importante porre l’accento, da subito, su un aspetto fondamentale, ma trascurato e ignorato. Le verità della fede sono contenute in quella formula che chiamiamo comunemente Credo. Esso, seppur non esplicitamente, non inizia parlando di Dio, di che cosa si crede, in che cosa, come, quando, ecc, ma la prima affermazione che fa è: (Io) Credo. Quell’”io”, seppur implicito, è fondamentale. Il Credo, ancor prima che proclamare la fede in Dio, inizia con una professione nell’uomo, in noi stessi che lo recitiamo. Quell’io significa che la mia persona, il mio essere, riconosce che quelle formule, quelle verità, sono vere. Io ci credo! Proprio perché molta della volontà del Papa sarà mirabilmente detonata da abili manovratori, mi piace sottolineare quest’aspetto personale della fede. Nonostante tutte le difficoltà che un uomo incontra nella propria vita di fede, soprattutto in ambito ecclesiale, cerchiamo di non scoraggiarci e di non perderla questa fede. Essa è una grazia immensa, che non va ridotta a un galateo del buon vivere. È qualcosa di talmente alto, altro e prezioso, che la perdita della fede consiste nella disgrazia maggiore per un essere umano. Sarebbe importante che quest’Anno, oltre a conoscere le verità della fede (se qualche ministro di Dio si prodigherà di farlo), sia rivolto a maturare in noi la convinzione della fede. A non essere credenti perché è credente il mio vicino di casa o il mio cane. A essere credenti, fedeli al Papa, anche quando tutti intorno non lo sono e ti fanno passare per matto. Anche quando, nella tua parrocchia, la tua fede è considerata retrograda, fallimentare e inutile. Essere convinti della propria fede non significa avere i paraocchi e andare avanti a testa bassa fregandosene di tutto e di tutti. Significa certo, saper ascoltare e parlare di Dio a chi Dio non lo conosce o lo conosce con la d minuscola. Ma ascoltare e dialogare non significa dar ragione a lui e cedere noi sulle nostre convinzioni. Essere convinti della propria fede non significa andare avanti come un rullo compressore e schiacciare (ergo scandalizzare) chiunque non si scansi e non si adatti alle nostre esigenze. Sarebbe come intestardirsi di voler tagliare il pane con la forchetta o con il cucchiaio (il coltello certamente no perché è stato usato fino a cinquant’anni fa e noi oggi siamo più belli, bravi e maturi). Ritroviamo il coraggio di dire che il cucchiaio serve per la minestra, la forchetta per la pasta e il coltello (anche) per tagliare il pane. La fede senza la carità è morta. Non c’è fede senza amore per il prossimo, senza preoccuparsi e occuparsi del bene di chi ci sta accanto, dietro e di fronte. Ma l’amore, aldilà di tutti i surrogati falsi e nocivi, si fonda sulla verità. Altrimenti anche abortire diventa un atto d’amore. Per amare dobbiamo conoscere l’altro e ciò che è davvero bene per lui, aldilà delle voglie estemporanee e passeggere. Proprio per permettere a ogni uomo di alzare lo sguardo in alto, più in alto della propria condizione, della propria miseria, abbiamo bisogno di annunciare la verità. La verità della fede. Perché essa è vera! Ma per annunciarla bisogna conoscerla, farla propria, non accontentarsi di un credo buonista dove tutto va bene e niente va male, perché noi siamo contro il male. Non chiudiamo gli occhi di fronte agli scandali, agli arbitri, agli abusi, ai crimini contro la fede. Consideriamola (perchè lo è) un tesoro prezioso. E difendiamola da tutti quelli che la vogliono manomettere, rovinare e sperperare. Difendiamola! Anche a costo dell’umiliazione, dell’incomprensione e della derisione.
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