La gioia si perde
Era la notte dello stesso giorno. Un giorno che si ripeteva uguale
da tanto tempo. Così tanto che ne aveva perso la memoria del tempo. Non si
ricordava quando e dove fosse nato, quel giorno, ma da molto tempo se lo
ritrovava là, costretto a viverlo. Era un giorno come gli altri, pieno e vuoto
di cose. E quella notte, come altre volte gli era capitato, magari con
scenografie e orizzonti diversi, stava lì con i gomiti al balcone della sua
camera. Aveva lo sguardo perso davanti a sé. Ma forse non era perso, era alla
ricerca di qualcosa. Ma di buio si fa più fatica a trovarle le cose. O forse
no. Se sono luminose si vedono meglio di notte. Come le stelle. Non era una
notte da stelle quella. Le notti delle stelle erano state qualche settimana
prima, nel pieno dell’estate. Ora l’estate finiva e lasciava il posto ad un’altra
stagione. Tante cose finivano e altrettante iniziavano nuovamente. Lui era lì,
fermo. Il mondo, quello a lui vicino, dormiva o almeno tentava di farlo. Lui sognava.
Ad occhi aperti. Che banalità! Eppure sognare è vedere cose che altri non
vedono. Forse questo è innamorarsi, vedere nella persona che ami qualcosa che
nessuno vede, forse nemmeno lei. Innamorarsi è sentirsi unici al mondo, perché custodi
di quel segreto, di quel sogno. Un sogno. Giusto un sogno poteva essere l’amore.
Anche quello, come l’estate, al termine. Ma forse non era mai finito, covava lì
dentro di lui pronto ad accendersi. Se solo ci fosse stato qualcuno disposto a
perdere un po’ di tempo, inchinarsi sul suo falò, asciugarlo, cambiare la legna
umida e impegnarsi perché quel fuoco nascesse di nuovo. Anche l’amore più
forte, più vivo e ambizioso prima o poi incontra le sue tempeste. Non perché era
debole o fallace, come gli sprovveduti, i ciechi e quelli che non s’innamorano
credono, ma perché ci sono le stagioni, il tempo cambia. In un anno ogni tanto
piove, ogni tanto no. Ma non sempre quando non piove c’è il sole. Così per la
vita dell’uomo. Non sempre c’è il sole e non sempre c’è la pioggia. Ogni anno è
diverso. Mai uguale a quello precedente. Solo che tendiamo sempre ad omologare
le cose. Quindi se dieci persone con gli stessi ritmi metereologici, o quasi,
si sono trovati e vivono bene insieme, chi ha i ritmi diversi, si perde. E si
sente sbagliato. Ma non lo è, è semplicemente diverso. Si sentiva così, una
stagione sempre dietro alle persone che lo circondavano. Se ne faceva una
colpa. Per qualche tempo le stagioni sembravano coincidere o almeno essere
simili. Poi non è stato più così e i cambiamenti lasciano sempre dei segni. In quel
caso non erano stati sempre positivi. Il mondo continuava ad andare al mare
quando lui aveva l’impermeabile e l’ombrello. Quando per lui era estate, o
forse anche solo primavera, al primo sole, pieno di entusiasmo correva a
chiamare le persone che conosceva per andare al mare. Per essere felice come
loro lo erano stati. Per essere felice con loro. Solo che per loro era arrivato
l’autunno e avevano le sciarpe e i calzini di lana. L’entusiasmo svaniva
subito. L’entusiasmo. Non riusciva a capire se fosse una cosa buona o no. Lo
esaltava e lo rendeva felice di vivere. Lo spronava a vivere meglio. Ma come
troppo spesso capitava gli entusiasmi fallivano e si ritorcevano contro. Tanto meglio
non entusiasmarsi, no? Non lo capiva. Tante erano le cose che non riusciva a
spiegarsi. Aveva anche smesso di farsi tante domande e accettare la vita così come viene, come recita una bella canzone. Ti
puoi rassegnare quanto vuoi ma poi il desiderio di essere felice, più felice,
ti coglie sempre. Le sue più grandi sofferenze nascevano paradossalmente
proprio da lì: dal desiderio di essere felice. Il problema non era il
desiderio, innato. Ma il fatto che non riusciva a realizzarlo. Magari non in
tutte le cose, ma almeno in alcune. Invece si trovava lì con un forte senso di
solitudine, di imbarazzo, di incomprensione, che quando lo avvolgevano
dimenticava tutti i buoni propositi e soffocava. Forse molte volte era svenuto,
qualche volta aveva anche temuto di essere morto. Non conoscendola direttamente
la morte spesso la si confonde con un piccolo dispiacere. O con uno grande. Ecco
perché ci si accanisce tanto contro il dolore, le sofferenze, i fallimenti: si
ha paura di morire. Così come capita, all’opposto, pe le gioie. Anche lì non
conosciamo realmente cosa sia la gioia piena. La confondiamo però con tante
cose che ne sono solo un rimando o un surrogato. Ad esse ci aggrappiamo e
cerchiamo di averle, di possederle. Cerchiamo disperatamente di avere più gioie
possibili. Spesso e volentieri però le gioie sono come i fiori, tolte dal posto
dove sono nate muoiono. Anche il fiore più bello portato via muore. Le gioie
non si possono avere. Ma non perché non si possa essere umanamente felici, ma perché
esse sfuggono al nostro dominio. Come un pugno di sabbia nella mano. Anche stringendo
forte qualcosa si perde. Ecco, la gioia si perde. Non era una bella immagine da
memorizzare prima di andare a dormire. Eppure era conforme alla realtà, a
quella che vedeva di fronte a sé. Magari non nel buio della notte di quello
stesso giorno, ma nella normalità delle cose. Voleva chiudere gli occhi,
addormentarsi, non pensare, e rimandare ad un altro momento quei pensieri. Una morsa
allo stomaco, la mancanza di respiro e il bruciore agli occhi derivante dalla
formazione delle lacrime lo stava travagliando. Forse bastava aspettare e tutto
sarebbe passato. Come gli capitava di continuo, anche in compagnia. La gente
aveva iniziato a prenderlo per pazzo o per malato, che forse per qualcuno è la
stessa cosa. Cambiava umore continuamente e tutto l’entusiasmo iniziale si
rivela, sempre più presto del previsto, il suo contrario. Non ebbe tempo di
scatenare quell’emotività che un nuovo pensiero sorse nella sua mente. Così,
inaspettatamente. Senza preavviso o costruzioni logiche. Pensava che se la
gioia si perde si può conservare. La prima cosa che pensò subito dopo fu la
fede. Anche quella si deve conservare. Ci sono persone atte a farle quando non
confondono il loro compito con altro. Ma questa è un’altra, drammatica, storia.
Forse, pensava, conformemente a tante sue riflessioni, che non si può avere la
gioia. Così come non la si può costruire. Non basta avere gli ingredienti. Non basta
mettere nella stessa stanza la persona che ami, te, della buon cibo e del buon
vino per essere felici. Perché magari i piatti e i bicchieri usati finiranno
per essere lanciati l’uno contro l’altro dopo una banale discussione. Così come
non c’è una ricetta universale per le cose. Specie per la gioia. Un momento
bellissimo, fatto della persona che si ama, di una sorpresa e di una
passeggiata, se hanno funzionato una volta non significa che funzioneranno
ancora. Perché la volta dopo, anche molto tempo dopo, quella stessa
passeggiata, mista ad una sorpresa, con la persona che si ama, è la cornice del
discorso di addio. L’amore, la felicità, la gioia, sono così sfuggenti e
mutevoli che non si possono costruire o ripetere in laboratorio. Non si possono
confezionare in uno spray o in una crema pronti per l’uso. Però esistono, perché
li abbiamo provati e non sono stati frutto di invenzioni o allucinazioni. Proprio
perché ci sono, ma non si possono costruire, sono un dono. Come tale va difeso,
conservato. Forse con tanti sforzi. Forse solo per un attimo in più di pace. Con
questi pensieri, un po’ confuso, ma comunque più sereno dopo l’ennesimo
fallimento di entusiasmi, si congedò dall’orizzonte, gli volto le spalle,
richiuse la finestra, spense la luce e si mise nel letto. Non ricorda quanto
tempo mise ad addormentarsi e quanto tutti i suoi pensieri condizionarono il
suo sonno. La speranza fu, che almeno condizionassero il risveglio.
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