mercoledì 12 settembre 2012


La gioia si perde

Era la notte dello stesso giorno. Un giorno che si ripeteva uguale da tanto tempo. Così tanto che ne aveva perso la memoria del tempo. Non si ricordava quando e dove fosse nato, quel giorno, ma da molto tempo se lo ritrovava là, costretto a viverlo. Era un giorno come gli altri, pieno e vuoto di cose. E quella notte, come altre volte gli era capitato, magari con scenografie e orizzonti diversi, stava lì con i gomiti al balcone della sua camera. Aveva lo sguardo perso davanti a sé. Ma forse non era perso, era alla ricerca di qualcosa. Ma di buio si fa più fatica a trovarle le cose. O forse no. Se sono luminose si vedono meglio di notte. Come le stelle. Non era una notte da stelle quella. Le notti delle stelle erano state qualche settimana prima, nel pieno dell’estate. Ora l’estate finiva e lasciava il posto ad un’altra stagione. Tante cose finivano e altrettante iniziavano nuovamente. Lui era lì, fermo. Il mondo, quello a lui vicino, dormiva o almeno tentava di farlo. Lui sognava. Ad occhi aperti. Che banalità! Eppure sognare è vedere cose che altri non vedono. Forse questo è innamorarsi, vedere nella persona che ami qualcosa che nessuno vede, forse nemmeno lei. Innamorarsi è sentirsi unici al mondo, perché custodi di quel segreto, di quel sogno. Un sogno. Giusto un sogno poteva essere l’amore. Anche quello, come l’estate, al termine. Ma forse non era mai finito, covava lì dentro di lui pronto ad accendersi. Se solo ci fosse stato qualcuno disposto a perdere un po’ di tempo, inchinarsi sul suo falò, asciugarlo, cambiare la legna umida e impegnarsi perché quel fuoco nascesse di nuovo. Anche l’amore più forte, più vivo e ambizioso prima o poi incontra le sue tempeste. Non perché era debole o fallace, come gli sprovveduti, i ciechi e quelli che non s’innamorano credono, ma perché ci sono le stagioni, il tempo cambia. In un anno ogni tanto piove, ogni tanto no. Ma non sempre quando non piove c’è il sole. Così per la vita dell’uomo. Non sempre c’è il sole e non sempre c’è la pioggia. Ogni anno è diverso. Mai uguale a quello precedente. Solo che tendiamo sempre ad omologare le cose. Quindi se dieci persone con gli stessi ritmi metereologici, o quasi, si sono trovati e vivono bene insieme, chi ha i ritmi diversi, si perde. E si sente sbagliato. Ma non lo è, è semplicemente diverso. Si sentiva così, una stagione sempre dietro alle persone che lo circondavano. Se ne faceva una colpa. Per qualche tempo le stagioni sembravano coincidere o almeno essere simili. Poi non è stato più così e i cambiamenti lasciano sempre dei segni. In quel caso non erano stati sempre positivi. Il mondo continuava ad andare al mare quando lui aveva l’impermeabile e l’ombrello. Quando per lui era estate, o forse anche solo primavera, al primo sole, pieno di entusiasmo correva a chiamare le persone che conosceva per andare al mare. Per essere felice come loro lo erano stati. Per essere felice con loro. Solo che per loro era arrivato l’autunno e avevano le sciarpe e i calzini di lana. L’entusiasmo svaniva subito. L’entusiasmo. Non riusciva a capire se fosse una cosa buona o no. Lo esaltava e lo rendeva felice di vivere. Lo spronava a vivere meglio. Ma come troppo spesso capitava gli entusiasmi fallivano e si ritorcevano contro. Tanto meglio non entusiasmarsi, no? Non lo capiva. Tante erano le cose che non riusciva a spiegarsi. Aveva anche smesso di farsi tante domande e accettare la vita così come viene, come recita una bella canzone. Ti puoi rassegnare quanto vuoi ma poi il desiderio di essere felice, più felice, ti coglie sempre. Le sue più grandi sofferenze nascevano paradossalmente proprio da lì: dal desiderio di essere felice. Il problema non era il desiderio, innato. Ma il fatto che non riusciva a realizzarlo. Magari non in tutte le cose, ma almeno in alcune. Invece si trovava lì con un forte senso di solitudine, di imbarazzo, di incomprensione, che quando lo avvolgevano dimenticava tutti i buoni propositi e soffocava. Forse molte volte era svenuto, qualche volta aveva anche temuto di essere morto. Non conoscendola direttamente la morte spesso la si confonde con un piccolo dispiacere. O con uno grande. Ecco perché ci si accanisce tanto contro il dolore, le sofferenze, i fallimenti: si ha paura di morire. Così come capita, all’opposto, pe le gioie. Anche lì non conosciamo realmente cosa sia la gioia piena. La confondiamo però con tante cose che ne sono solo un rimando o un surrogato. Ad esse ci aggrappiamo e cerchiamo di averle, di possederle. Cerchiamo disperatamente di avere più gioie possibili. Spesso e volentieri però le gioie sono come i fiori, tolte dal posto dove sono nate muoiono. Anche il fiore più bello portato via muore. Le gioie non si possono avere. Ma non perché non si possa essere umanamente felici, ma perché esse sfuggono al nostro dominio. Come un pugno di sabbia nella mano. Anche stringendo forte qualcosa si perde. Ecco, la gioia si perde. Non era una bella immagine da memorizzare prima di andare a dormire. Eppure era conforme alla realtà, a quella che vedeva di fronte a sé. Magari non nel buio della notte di quello stesso giorno, ma nella normalità delle cose. Voleva chiudere gli occhi, addormentarsi, non pensare, e rimandare ad un altro momento quei pensieri. Una morsa allo stomaco, la mancanza di respiro e il bruciore agli occhi derivante dalla formazione delle lacrime lo stava travagliando. Forse bastava aspettare e tutto sarebbe passato. Come gli capitava di continuo, anche in compagnia. La gente aveva iniziato a prenderlo per pazzo o per malato, che forse per qualcuno è la stessa cosa. Cambiava umore continuamente e tutto l’entusiasmo iniziale si rivela, sempre più presto del previsto, il suo contrario. Non ebbe tempo di scatenare quell’emotività che un nuovo pensiero sorse nella sua mente. Così, inaspettatamente. Senza preavviso o costruzioni logiche. Pensava che se la gioia si perde si può conservare. La prima cosa che pensò subito dopo fu la fede. Anche quella si deve conservare. Ci sono persone atte a farle quando non confondono il loro compito con altro. Ma questa è un’altra, drammatica, storia. Forse, pensava, conformemente a tante sue riflessioni, che non si può avere la gioia. Così come non la si può costruire. Non basta avere gli ingredienti. Non basta mettere nella stessa stanza la persona che ami, te, della buon cibo e del buon vino per essere felici. Perché magari i piatti e i bicchieri usati finiranno per essere lanciati l’uno contro l’altro dopo una banale discussione. Così come non c’è una ricetta universale per le cose. Specie per la gioia. Un momento bellissimo, fatto della persona che si ama, di una sorpresa e di una passeggiata, se hanno funzionato una volta non significa che funzioneranno ancora. Perché la volta dopo, anche molto tempo dopo, quella stessa passeggiata, mista ad una sorpresa, con la persona che si ama, è la cornice del discorso di addio. L’amore, la felicità, la gioia, sono così sfuggenti e mutevoli che non si possono costruire o ripetere in laboratorio. Non si possono confezionare in uno spray o in una crema pronti per l’uso. Però esistono, perché li abbiamo provati e non sono stati frutto di invenzioni o allucinazioni. Proprio perché ci sono, ma non si possono costruire, sono un dono. Come tale va difeso, conservato. Forse con tanti sforzi. Forse solo per un attimo in più di pace. Con questi pensieri, un po’ confuso, ma comunque più sereno dopo l’ennesimo fallimento di entusiasmi, si congedò dall’orizzonte, gli volto le spalle, richiuse la finestra, spense la luce e si mise nel letto. Non ricorda quanto tempo mise ad addormentarsi e quanto tutti i suoi pensieri condizionarono il suo sonno. La speranza fu, che almeno condizionassero il risveglio.

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