martedì 11 settembre 2012

“Devi prima star bene te e solo dopo puoi far star bene gli altri” dicono. Questa felicità egoistica non la sopporto, non la condivido e non la sposo. La felicità è un dono gratuito e libero che si può solo ricevere, non costruire. Hai voglia a dire “costruisci te stesso”, “fai quello che ti senti”, “renditi felice”, ecc.: sono tutte menzogne! Sarebbe come a dire: “Basta a te stesso”, “Fa da solo”, “È un problema tuo”. La felicità non può essere pretesa, né stabilita per diritto di legge. Questo perché, come l’amore, si fonda sulla libertà. Ma la libertà di un altro che decide di renderti felice. L’inganno sorge quando ti si rimprovera che così facendo fondi la tua felicità su quella persona, su quella cosa, su quella situazione. Ovvio che è sbagliato. Ma altrettanto ovvio è che è profondamente sbagliato pensare che si possa prescindere da quella persona (soprattutto!), da quella cosa, da quella situazione. Siamo cattolici, crediamo in un Dio che si è fatto uomo e ha preso la nostra natura umana, carnale. Non siamo protestanti, puritani, gnostici ed eretici di ogni risma, che cerchiamo solo una felicità spirituale ed emotiva. No. La nostra felicità passa anche per la materialità delle cose. La nostra non può nascere e realizzarsi senza l’altro. Se così fosse, se fossimo felici da noi stessi, con i nostri sforzi, con le nostre capacità e miserie, perché cercare di stabilire rapporti di collaborazione, di amicizia e di amore con altre persone? Se queste non possono darci nulla, perché la nostra felicità è già completa in noi, che vantaggio traiamo da loro? Che bene aggiungiamo alla nostra povertà da queste persone? Ovvio, conviene comunque dirlo, che l’altro non è un mezzo per la nostra felicità, uno strumento da usare per i nostri comodi, ma è evidente che abbiamo bisogno degli altri, di un Altro per eccellenza, per essere felici. Sarebbe come saper guidare e non avere la patente. O, peggio ancora, non avere la macchina per guidare. Sarebbe come saper giocare a calcio e provar piacere nel farlo, ma non aver nessuno che t’invita a giocare con lui. Puoi prendere a pallonate tutti i muri del pianeta terra, ma non sarà mai come giocare con altre persone. Che gioia è quella che basta a se stessa? Quella che si basta di se stessa? Quanto piuttosto non è gioia quella che passa attraverso la libertà, la decisione indipendente di un altro, che decide di piegarsi su di te e di te di prendersi cura? Che è quello che ha fatto Gesù Cristo. È quello che Egli invita a fare a tutti coloro che vogliono gloriarsi di definirsi cattolici. I più grandi santi hanno sempre parlato di dono totale di sé stessi, che lì risiede la felicità, e invece oggi noi predichiamo che prima dobbiamo costruirci una nostra felicità, dobbiamo appagarci, drogarci, e solo dopo possiamo rendere felici, appagare e drogare gli altri. Questo “solo dopo” non è cristiano. È umano, vero. Ma la natura umana è segnata da quel peccato originale che troppo spesso banalizziamo, che ha reso sì l’uomo egoista, ma che non l’ha totalmente corrotto. L’uomo è capace di fare il bene. Non è vero che non può farlo. Non ci riesce da solo, necessita della grazia divina, ma con essa può riuscirci. Ci riesce spesso nello sforzo, nella fatica, nella lotta contro i propri egoismi, così come una bimillenaria tradizione di santi insegna. Quanti sani esercizi spirituali. Quanti inviti alla rinuncia più profonda, alla mortificazione totale, al disprezzo di sé stessi, a lottare contro noi stessi e il nostro orgoglio. Noi invece oggi pensiamo che così come siamo dobbiamo rimanere. Ogni sforzo è bandito, perché sbagliato, perché pensiamo che l’amore e la gioia siano sentimenti, stati d’animo, che ogni tanto ci prendono, ma molto spesso non ci prendono. E quando non ci prendono c’è poco da fare. Non dobbiamo fare niente. Perché se in quel momento la persona che abbiamo davanti non la sopportiamo, non dobbiamo amarla lo stesso perché così comanda Gesù Cristo; perché pensiamo che ogni sorta di sforzo, di fatica, di rinuncia, sia un tradimento di quello che è l’amore vero e la gioia vera. Eppure a ben pensarci se guardiamo a noi stessi, a quello che siamo, e a quello che facciamo, vediamo che siamo egoisti. Tendenzialmente se potessimo non daremmo niente e attenderemmo solo che qualcuno ci servisse, lodasse e onorasse. La cosa triste è che è questa condizione che esaltiamo e che non cerchiamo nemmeno di mutare. Vogliamo amare e rendere felici gli altri rimanendo egoisti. Una contraddizione in termini evidente, ma che la follia di un cristianesimo all’acqua di rose ci ha portato a credere come vera. Se si ama non si è egoisti. Per non essere egoisti dobbiamo spesso lottare contro i nostri istinti, le nostre voglie, le nostre debolezze. L’uomo è un mendicante di felicità. Siamo sui cigli delle strade del mondo, con la mano aperta, tesa, in attesa.

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