venerdì 17 agosto 2012

Una delle caratteristiche che più vedo mancare nell’uomo di oggi, privandolo di tutta una serie di capacità di visione e comprensione del mondo è il realismo. Ma che cos’è il realismo? Ho trovato una bella, articolata e interessante spiegazione nell’ottimo libro di Giuseppe Fioravanti Pedagogia dello studio, dove l’Autore affronta e smonta molti dei postulati su cui si fonda l’educazione moderna, e dove tra l’altro parla appunto del realismo. Leggiamo: 

Si tratta di un principio di fondo, che è servito da base per la filosofia da Aristotele fino all'avvento del neopaganesimo del Rinascimento, e che consiste nell'osservare che esiste una realtà di per se stessa, che può essere conosciuta, e che non è una sem­plice proiezione dell'uomo. 
Costituisce anche un vero e proprio atteggiamento, fonda­mentale per la riflessione sulla educazione, perché rimanda ad aspetti antropologici ed etici di tutto rilievo, che pongono l'uo­mo al centro di un mondo vivo, pieno di esigenze genuine, e di situazioni che lo stimolano e lo inducono ad assumere una posi­zione personale e a sviluppare il senso della responsabilità. 
Nel realismo viene sottolineato il valore delle cose (res) per se stesse, o meglio la verità delle cose che è alla base della conoscenza naturale e spontanea propria del senso comune, e che permette di perfezionare gradualmente la conoscenza stessa, a partire dal "realismo infantile" illustrato da Piaget per arrivare alle vette della speculazione filosofica. 
La realtà viene ad avere un interesse anteriore e in un certo senso al margine della relazione conoscitiva ed operativa che l'uomo ha con le cose. Inoltre il realismo è - ovviamente - alla base di qualsiasi scienza, dato che non è possibile fondare una conoscenza sistematica su qualcosa che sia frutto di fantasia o di immaginazione troppo ricca, o addirittura di semplici teorie elaborate a tavolino. 
Dato il predominio assoluto che ha avuto nella scuola ita­liana prima la filosofia idealista ed ora, secondo una logica suc­cessione, le ideologie riduzionistiche che ne costituiscono il naturale sviluppo, il parlare di realismo può sembrare inusitato, anche perché l'aggettivo realista è stato utilizzato nel linguaggio comune come sinonimo da un lato di "spregiudicato", dall'altro di "mediatore di professione", "disposto ad ogni compromesso". 
Non è possibile approfondire in questa sede la natura filo­sofica del Realismo: può essere però sufficiente, almeno per ora, indicare alcune delle conseguenze della sua applicazione: 
a) legame concreto e diretto con il mondo in cui si vive, che va conosciuto a fondo; b) importanza della responsabilità personale in tutto quello che riguarda le azioni dell'uomo liberamente condotte nei con­fronti sia delle cose sia dei suoi simili; 
c) profonda, tangibile accettazione della realtà, con il con­seguente abbandono della cosiddetta «mistica del magari» che fa rinunciare alle azioni in nome di improbabili quanto invocate condizioni ideali; 
d) dichiarazione previa delle premesse da cui si parte e degli obiettivi che si vogliono raggiungere e successiva misura­zione e valutazione dei risultati; 
e) coerenza fra i principi professati e le azioni che si com­piono, evitando ciò che nel senso comune popolare si esprime col detto «predicare bene e razzolare male». 
Le vicende che hanno caratterizzato la natura peculiare del­l'unificazione dell'Italia nel secolo scorso hanno portato al pre­valere di filosofie nettamente contrarie al realismo, che è stato posto in secondo piano, al punto da essere quasi completamente dimenticato. Le filosofie in questione hanno poi lasciato il posto nel Novecento ad una serie di ideologie, le cui radici si sono trasformate in semplici postulati, che si applicano senza più conoscerne l'origine. 
[G. Fioravanti – Pedagogia dello studio, pag. 212-214]

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