giovedì 23 agosto 2012

Settembre è ormai alle porte. Oltre alla fine delle ferie, al ritorno al lavoro, l’inizio della scuola e di ogni tipo di attività sportiva, è anche il mese che vede l’inizio del nuovo anno di catechismo. Questa è una tradizione alla quale buona parte (probabilmente anche la maggioranza, in molte zone d’Italia) dei genitori non rinuncia per i propri figli. Il che dovrebbe far ben sperare. Visti poi i risultati (e non solo quelli), la speranza si dissolve in timore. Visti i risultati, e cioè che i bambini e i ragazzi escono dal catechismo con la promessa di continuare la vita in parrocchia, ma con la certezza di non rimettere più piede in una chiesa, se non per il proprio matrimonio o per qualche importante funerale, la domanda sull’utilità e le modalità del catechismo appare più che legittima. Esso è uno strumento al quale i preti si aggrappano con molta energia perché sanno che è uno dei rarissimi momenti (forse l’unico) in cui riuscire a stare in contatto con una persona. Con il catechismo si prendono (almeno così credono i preti) due piccioni con una fava: i bambini-ragazzi e i loro genitori. C’è da domandarsi se l’abbandono successivo al catechismo, che coincide spesso (ma non sempre) dopo aver ricevuto il Sacramento della Confermazione (Cresima), sia dovuto alle circostanze personali del ragazzo o alle insufficienze del catechismo. C’è del vero in entrambe le cause. Per quel che riguarda le circostanze personali del singolo, va notato come i ragazzi crescono in famiglie dove il discorso religioso non viene semplicemente taciuto, ma volutamente ignorato ed evitato. Si pensa che la scelta religiosa sia una faccenda che riguarda la maturità della persona e che questa ve se ne debba preoccupare, da solo, al momento opportuno (cioè mai, o al massimo in punto di morte). C’è da dire anche che la società non aiuta, anzi, e nei confronti della religione in genere, e del Cattolicesimo in particolare, se c’è da denigrare si è tutti pronti e preparati, altrimenti silenzio totale. Va riconosciuto, però, che contro il mondo c’è “poco” da fare. Aldilà delle ideologiche ed eretiche buone intenzioni dei prelati e dei cattolici adulti di conciliare e far dialogare Chiesa e mondo, tra questi c’è una frattura ontologica, umanamente insanabile, che si protrarrà fino alla fine dei tempi. Ma, per un clero educato a guardare e a pensare solo al presente, e non al futuro escatologico, questa non è una preoccupazione su cui impegnarsi. Se, come detto, c’è poco da fare con il mondo, ci sarebbe (il condizionale è d’obbligo) molto da fare per quel che riguarda i cattolici. Se i “risultati” cui facevo riferimento all’inizio, e cioè l’abbandono dei ragazzi subito dopo la fine del catechismo, non si può imputare solo e soltanto alle colpe del secolarismo, del relativismo, della crisi delle famiglie, dell’immaturità, ecc. Anche perché oltre all’abbandono della vita parrocchiale, nei ragazzi usciti dal catechismo, segue una condotta di vita e una concezione della stessa, profondamente lontana da quella che è la visione cattolica. Tutti ignoranti e immaturi i ragazzi? Tutti vittime di una società anticristiana? No. Tutti sono vittime di un catechismo melenso, diseducativo, eretico, esperienziale e blando. Nelle parrocchie, spesso e volentieri, non si punta a insegnare quella che è la dottrina della Chiesa, ciò che la Chiesa, il cattolico, crede su Dio, Gesù, la Madonna, la vita, la morte, il peccato, la grazia e la salvezza. Ci si concentra sull’istruire i ragazzi di un galateo del buon vivere: non buttare la carta per terra, voler bene al fratellino, aiutare i genitori a sparecchiare, studiare, perdonare, eccetera. Alcune cose anche buone, sia chiaro, ma tutte profondamente figlie di un moralismo più pesante di quello non cristiano. In questo catechismo del galateo Cristo non serve, se ne può fare anche a meno. Infatti, così si fa; al massimo si riduce Nostro Signore a un sostenitore delle buone maniere. Di certo c’è che nelle parrocchie l’essere catechista significa testimoniare la propria esperienza, ciò che Dio ha operato nella propria vita. Poco importa la conoscenza della verità cristiana. Bisogna assolutamente evitare di insegnare la dottrina, il catechismo, l’insegnamento del Papa! Non sia mai si ritorni indietro di cinquant’anni in un passato inglorioso da dimenticare a tutti i costi! Se poi però, a questi volenterosi catechisti, fai qualche banale domanda sul Credo, i Comandamenti, i Sacramenti e la liturgia, le banalità si sprecano e le eresie pure. Se provi a farglielo notare, oltre ad essere tacciato d’insensibilità e di arretratezza culturale, ti rispondono che quel che conta è l’amore. Mi sembrava strano di non averne ancora sentito parlare. Poi cosa questo ‘amore’ significa non è dato saperlo. Se nel Cristianesimo c’è dell’altro (e c’è!) non è dato conoscerlo. Quel che conta, dicevamo, per questi catechisti, è dare testimonianza, metterci del proprio, fare quello che si può. Mi domando: tra ciò rientra anche insegnare eresie? Anche testimoniare le proprie miserie? La mia fantasia galoppa e immagino: se un professore di matematica di scuola (media o superiore) piuttosto che insegnare, per gradi sia chiaro, le operazioni, le equazioni, i sistemi, eccetera, spiegasse solo e soltanto le addizioni, perché quelle a lui nella sua vita, sono servite a non farsi fregare i soldi dal cassiere del bar sotto casa, che dite, sarà licenziato o sarà lodato e stipendiato per raccontare le sue esperienze? Come si può insegnare a qualcuno qualcosa che non si conosce? Come si può far conoscere a qualcuno, Qualcuno che non si conosce? Nella vita si fanno tante esperienze, anche spirituali. Non necessariamente queste sono sane e vere. Se non c’è una verità cui riferirsi, per discernerle, ogni cosa appare vera e non c’è più distinzione tra bene e male, tra giusto e sbagliato. Ed è ciò che capita quando i ragazzi vanno al catechismo. La cosa buffa, per non dire ridicola, di tale impostazione del catechismo, è che i risultati di una scelta così scellerata (cioè di seguire il mondo, piuttosto che Gesù Cristo) sono evidenti già da ora. Solo la cecità clericale non li vede. Nelle parrocchie si è spesso cercato di accomodare la verità cristiana con quella mondana e secolare, con l’ovvio tradimento di quella divina; si è tentato in tutti i modi di eliminare dall’insegnamento ogni cosa che potesse minimamente cozzare con la banalità del mondo (peccato, castigo, sofferenza, santificazione, verità, ecc.), si è trasformato il catechismo in un grande centro estivo fatto di giochi e canzonette (e queste hanno anche invaso la liturgia e lo spazio sacro), ma la gente, i così tanto declamati giovani, le chiese non le hanno riempite. Esse sono popolate sempre dalle solite vecchiette che, nonostante gli acciacchi dell’età, s’inginocchiano davanti al Tabernacolo con un rosario in mano. Inginocchiarsi, adorazione e recita del rosario: tutte pratiche ormai bandite dall’insegnamento del catechismo. Allora mi domando: a che serve andare a catechismo?

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