sabato 9 giugno 2012

Leggo:

“A volte, qualcuno mi ha detto:
Padre, io mi sento stanco e freddo;
quando prego o compio qualche norma di pietà,
mi sembra di star facendo una commedia…
A questo amico, e a te – se ti trovi nella stessa situazione -, rispondo:
una commedia? – Gran cosa, figlio mio! Fa la commedia!
 Il Signore è il tuo spettatore!: il Padre, e il Figlio, e lo Spirito Santo;
la Trinità Beatissima ci starà contemplando, nei momenti in cui «facciamo la commedia».
- Agire così davanti a Dio, per amore, per fargli piacere, quando si vive contropelo, com’è bello!
Essere giullare di Dio! Come è stupenda questa recita compiuta per Amore,
con sacrificio, senza alcuna soddisfazione personale, per compiacere il nostro Signore!
- Questo sì che è vivere d’Amore.”
[S. Josemaria Escrivà – Forgia §485]

e mi domando: quanto dista tale concezione della vita, della fede, da quella oggi predicata e vissuta nella Chiesa. Quanto i sacrifici, gli sforzi e le fatiche, sono disprezzate dai sacerdoti (che quindi cercano di farle disprezzare anche i fedeli loro affidati). Quante volte, in nome dell’idea che “Dio ti ama così come sei”, sono rigettate in toto tutte quelle pie pratiche di mortificazione e di santificazione, che hanno guidato per secoli i cattolici e hanno generato, nei secoli, schiere di santi. Non c’è santo che non parli di morire a sé stesso. Non c’è sacerdote, moderno e aggiornato, che non parli di “realizzare se stessi”. Se non si reputa più necessario soffrire per migliorare, per essere santi, considerando la santità come un’ebete felicità, è perché non si considera più il peccato come tale. Esso non è tremendo, dannatore. Il melenso amore di dio (quello degli uomini, non quello vero di Gesù Cristo) giustificherebbe ogni peccato, ogni male. Se così fosse, perché allora evitare di peccare? Perché, piuttosto, non scegliere una vita d’intrallazzi e svaghi vari? Se poi tanto dio mi perdona, mi ama, non baderà alla mia condotta. Quanto questa visione della vita dista da quella dei santi! Da quanto tempo non leggevo, o ascoltavo, di “compiacere Dio”. Di Dio ormai non s’interessa più nessuno. Il culto è rivolto agli uomini, la fede non c’è, la speranza è un vago sentimentalismo, così come pure la carità che viene surrogata con un amore da Baci Perugina. Quante volte, specie in ambito liturgico, in nome della soddisfazione personale, si sono condannate tante pie pratiche devozionali e penitenziali? Se non ti senti meglio te, se non stai bene te, tutto quello che fai è privo di verità, è inutile, e formalismo, ecc. Eppure spesso la nostra carne è mischiata col peccato, con la miseria. Se ci limitassimo a fare solo ciò che è puro, faremmo ben poco. Se ci riducessimo a fare solo ciò che ci soddisfa, poco faremmo di quel che è giusto e buono per Dio. Eppure tali assurdità sono in qualche modo conciliate e predicate dai pulpiti (laddove ancora ci sono). Questo cristianesimo conduce alla follia, oltre che alla dannazione. Alla follia di chi prova a metterlo in pratica e alla dannazione di chi “riesce” a realizzarlo.

2 commenti:

  1. ... Escrivà, quello seppellito in una tomba d'argento? Proprio lui?.... mah!

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  2. Mi spieghi cosa centra dov'è stato sepolto?

    A san Pio da Pietralcina, grandissimo santo (non se se vuoi contraddire anche qui) è stato edificato un luogo di culto abominevole (e mi fermo qui).

    Se i tuoi cari, quando passerai all'altra vita, avranno la possibilità economica e il pio desiderio di onorare le tue spoglie con oro, argento o chissà cosa (questo abbiamo sulla terra), i posteri dovranno considerare che sei un indegno e un'impostore solo dal tipo di tomba?

    Poi si rimprovera a me di essere un formalista che guarda solo all'estetica, alla forma, all'esteriorità delle cose.


    Mah!

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