venerdì 11 maggio 2012

Il Papa ha un problema. Ad affermarlo è Lui stesso quando, rivolgendosi con una lettera al Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, mons. R. Zollitsch, scrive: “Dal momento che devo recitare le preghiere liturgiche continuamente in lingue diverse, noto che, talora, tra le diverse traduzioni, non è possibile trovare quasi niente in comune e che il testo unico che ne è alla base, spesso è riconoscibile soltanto da lontano. Vi sono state poi delle banalizzazioni che rappresentano vere e proprie perdite. Così, nel corso degli anni, anche a me personalmente, è diventato sempre più chiaro che il principio della corrispondenza non letterale, ma strutturale, come linea guida nella traduzione, ha i suoi limiti”. Parole pesantissime. Ma altrettanto chiare. Il Santo Padre qui si riferiva alla questione della traduzione della preghiera eucaristica: il sangue versato “pro multis” della versione latina (e del Vangelo), va tradotto in “per tutti” (così come si è fatto fino ad oggi), oppure è più corretto (oltre che più fedele alle parole di Gesù Cristo) il “per molti”? Il Papa dice chiaramente che è più corretta la traduzione letterale “per molti”. Se dopo aver letto questa lettera del Papa il brivido di paura che sale sulla schiena è relativo al fatto che molti vescovi potrebbero ignorarlo (e non stiamo parlando di accessori, ma delle parole della consacrazione!), lo sconcerto arriva quando si scoprono altre cose. Il giornalista Sandro Magister, sul suo blog Settimo Cielo, riporta una nota di monsignor Juan Andrés Caniato, dove sono esplicitati alcuni esempi di traduzioni (italiane) del rito della Messa. Leggiamo:

I problemi di traduzione non sono poca cosa e stanno emergendo ogni giorno di più nella loro drammatica problematicità. Per rimanere nel rito della messa, basterebbe pensare al “Padre nostro”: è un testo biblico o liturgico? Se è testo liturgico, va tradotto dal latino liturgico e non dal greco, con criteri liturgici e non biblici. “Et ne nos inducas in tentationem, sed libera nos a malo”. (Nel novembre del 2011 i vescovi italiani votarono per cambiare il “non ci indurre in tentazione” in “non abbandonarci alla tentazione”, con 111 voti contro 68 dati a “non abbandonarci nella tentazione” – ndr).
Oppure al “Gloria”: cosa significa “bonae voluntatis”? Così come è tradotto adesso parrebbe la “buona volontà” degli uomini, quando invece si tratta della buona disposizione di Dio verso gli uomini, con tutto quello che consegue. (Ancora nel novembre del 2011 i vescovi italiani votarono per cambiare il “pace in terra agli uomini di buona volontà” con “pace in terra agli uomini che egli ama”, con 151 voti contro 36 andati alla versione in uso – ndr).
Ma tornando alle parole della consacrazione nella grande preghiera eucaristica non si percepisce la gravità teologica della traduzione italiana, che ha reso con due participi passati ciò che nel testo latino è addirittura al futuro:
– corpo “offerto in sacrificio” al posto di “tradetur”, “che sarà consegnato”;
– e sangue “versato” al posto di ” effundetur”, “che sarà versato”.
Ne va della comprensione stessa della messa e del suo rapporto con l’ultima cena e con la passione, morte e risurrezione di Cristo.
Il traduttore italiano ha sciaguratamente pensato che il fedele italiano, se avesse ascoltato quei due verbi al futuro avrebbe potuto immaginare che il Signore non avesse ancora donato la sua vita per noi…
In realtà è proprio quel futuro che ci aiuta a comprendere il rapporto tra eucaristia e Pasqua: gli apostoli, nell’ultima cena parteciparono realmente alla Pasqua di Gesù, prima che avvenisse storicamente, esattamente come noi oggi vi partecipiamo dopo che è avvenuta.
L’eucaristia non è memoriale dell’ultima cena, con enfatizzazione del “banchetto”, ma della passione, morte e risurrezione del Signore, attraverso il rito compiuto da Gesù nell’ultima cena. L’eucaristia spezza la barriera del tempo cronologico, e ci rende partecipi “qui e ora” del mistero pasquale. 


Lo sgomento è ai livelli massimi, così come la fede raggiunge i livelli minimi. Com’è possibile che tutto ciò sia accaduto e accada? Aldilà delle ideologiche guerriglie sulla Messa in latino o in volgare (mi sono espresso ampiamente sulla questione della lingua liturgica), aldilà delle legittime preoccupazioni per le innovazioni liturgiche postconciliari, com’è possibile che da quando la Messa si celebra in italiano (tanto per rimanere nel Belpaese) si siano potuti perpetrare tali crimini? Sì crimini! Contro la fede, contro l’intelligenza delle persone e la cura che sacerdoti e vescovi devono avere nei confronti dei propri fedeli. Com’è possibile che durante la Messa (il centro della vita ecclesiale e dei fedeli) si è detto cose che non stanno né in cielo né in terra (forse allora stanno da un’altra parte…). Che deve pensare un ragazzo, che si sforza di essere cattolico, come il sottoscritto, nato e cresciuto con la Messa in volgare, quando scopre che quello che ha pronunciato per almeno una decina d’anni (più o meno frequentemente) non è quello che si pronunciava (e quindi credeva) un secolo fa, due secoli fa, ecc? Che pensare che quello che ha pronunciato (e probabilmente pronuncerà ancora) è un tradimento delle parole di Gesù, un tradimento della Tradizione della Chiesa, un tradimento nei confronti, quindi, di Dio stesso? Piuttosto che giungere a drammatiche conclusioni, scelgo il silenzio. A questo punto la cosa più difficile non è avere la fede, ma conservarla.

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