“Non ogni forma di musica può entrare a far parte della liturgia cristiana”. Quest’affermazione perentoria non è stata vergata da qualche blog tradizionalista o da qualche incompetente di liturgia. Quest’affermazione compare in un testo del 2001, dal titolo Einführung in den Geist der Liturgie. In italiano, edito con il titolo Introduzione allo spirito della liturgia, autore l’allora cardinale Joseph Ratzinger. Che nel 2005 è stato eletto Papa, con il nome di Benedetto XVI. Insomma, non uno sprovveduto. Tantomeno un incompetente. Prosegue Ratzinger in quel testo: “Sia pure con delle variazioni, l'interpretazione cosmica della musica si è mantenuta viva fin dentro la modernità. Solo il secolo XIX se ne è distanziato, perché la «metafisica» pareva superata. Hegel ha cercato di interpretare la musica esclusivamente come espressione del soggetto e della soggettività. Ma, mentre in Hegel si trova pur sempre l'idea fondamentale della ragione come punto di partenza e scopo della totalità, in Schopenhauer avviene un vero rovesciamento, denso di conseguenze per gli sviluppi successivi. Il mondo, a partire dal suo fondamento, non è più ragione, ma «volontà e rappresentazione». La volontà precede la ragione. E la musica è l'espressione più originale dell'esistenza umana, l'espressione pura, che precede la ragione, della volontà che crea il mondo. Per questo la musica non deve soggiacere alla parola e solo in casi eccezionali deve legarsi a essa. Poiché essa è solo volontà, è più originale della ragione, ci riporta prima di essa, nella vera causa prima del reale. Viene alla mente la riformulazione goethiana del prologo di Giovanni: non più «In principio era la Parola», ma «In principio era l'azione». Nel nostro secolo questo processo continua con il tentativo di sostituire alla «ortodossia» la «ortoprassi»: non c'è più alcuna fede comune (perché la verità è irraggiungibile), ma resta solo una prassi comune. Per la fede cristiana resta invece vero quello che Guardini ha saputo sottolineare con grande chiarezza nella sua opera prima Lo spirito della liturgia: il primato del Logos sull'ethos. Quando questo primato viene rovesciato, il cristianesimo come tale ne risulta scardinato. Contro il duplice spostamento d'asse che la modernità opera nell'interpretazione della musica -la musica come pura soggettività e la musica come espressione della pura volontà - sta il carattere cosmico della musica liturgica: noi cantiamo con gli angeli. Questo carattere cosmico si fonda però sul riferimento al Logos di tutto il culto cristiano. Diamo quindi un ultimo, breve, sguardo al presente. La liquidazione del soggetto, che noi oggi sperimentiamo insieme con delle forme radicali di soggettivismo, ha portato al decostruttivismo, alla teoria anarchica dell'arte. Tutto ciò può forse aiutare a superare la smodata esaltazione del soggetto e a riconoscere nuovamente che è proprio il rapporto con il Logos che sta al principio, ciò che salva anche il soggetto, cioè la persona, e la riporta al suo vero rapporto con la comunità: quel rapporto che, ultimamente, si fonda sull'amore trinitario.” Un’analisi lucida, chiara, precisa. Don Claudio Crescimanno, nel suo La Riforma della Riforma liturgica (edizioni Fede&Cultura), libro ottimo assolutamente da leggere, parte nella sua riflessione sulla musica liturgica dalle stesse pagine di Ratzinger di Introduzione allo spirito della liturgia, e così si esprime: “È dunque inammissibile sentire in chiesa gli stessi ritmi e alle volte anche testi non del tutto dissimili rispetto alle canzonette che si ascoltano alla radio, poiché nulla come la musica e il canto ha il potere di appiattire la distinzione tra ambito religioso e ambito mondano. Tanto più che la musica contemporanea (specialmente in Occidente, ma ormai ovunque, vista la rapidità della globalizzazione) è per origine e natura, agli antipodi rispetto al sacro: il pop, che a dispetto del suo nome (popolare), viene ben poco dal popolo, ma piuttosto finalizzato ad un fenomeno di massa, anzi ad una massificazione specialmente dei giovani, viene prodotto con metodi e su scala industriale e sempre più si rivela come il culto della banalità o dell'immoralità; in alternativa c'è la musica rock, espressione di passioni primitive che nei grandi raduni hanno assunto caratteri cultuali, cioè di un contro-culto che si oppone al culto cristiano. Esso vuole liberare l'uomo da se stesso nell'evento di massa e nello sconvolgimento mediante il ritmo, il rumore e gli effetti luminosi, facendo precipitare chi vi partecipa nel potere primitivo del Tutto, mediante l'estasi della lacerazione dei propri limiti. La musica della sobria ebbrezza dello Spirito Santo sembra avere poche possibilità qui dove l'io è sentito come un carcere e lo spirito una catena, così che la rottura violenta con entrambi pare essere la vera promessa di liberazione.” Che fare allora? Ancora don Claudio Crescimanno: “Occorre, dunque, affrontare la realtà: anche oggi, come più volte abbiamo visto accadere nel passato, la musica liturgica subisce un potente influsso da parte del gusto musicale dominante nel mondo contemporaneo, che tenta di omologarla secondo i propri ritmi; le direttive dell'Autorità in questa materia sono ampiamente disattese, e i sacerdoti faticano a prendere consapevolezza dell'importanza di ciò che si canta e di come si canta; i creatori e gli esecutori di gran parte della musica utilizzata nella liturgia si mostrano decisamente impari rispetto al ruolo che dovrebbero svolgere. Ma questo non è ancora tutto. La crisi "che investe la musica sacra è un sintomo che manifesta un problema più profondo, e cioè che cosa sia la liturgia. Infatti, tanta parte della produzione contemporanea destinata alla liturgia appare invece più appropriata per le attività ricreative di un oratorio giovanile o per raduni con alla base, tutt'al più, un vago sfondo religioso. È ovvio infatti che in una liturgia concepita primariamente come luogo in cui una comunità di uomini credenti incontra se stessa e celebra se stessa, la musica e il canto avranno lo scopo di intrattenere i partecipanti e di vivacizzare il raduno, in conformità ai gusti e alle aspettative della maggioranza o, più facilmente, del gruppo che ne cura l'organizzazione. Questo significa che è necessario anzitutto recuperare senza ambiguità la vera dimensione della liturgia, come azione primariamente verticale di adorazione di Dio e di introduzione della comunità dei credenti nell'esperienza soprannaturale dell'incontro con Lui.” Il lavoro da fare non è assolutamente facile, specie se si vuole continuare ad operare in totale disobbedienza al Papa e alla Chiesa. Specie se si continua a concepire la liturgia come prodotto, tanto che è “permesso” ai laici di inserire o togliere, a seconda delle loro esigenze “pastorali”, parti della liturgia. A tal proposito sono recenti le polemiche intorno al funerale del calciatore Piermario Morosini. Tanto per dimostrare, laddove ce ne fosse bisogno, quanto tutte queste non sono chiacchiere da sagrestia, ma questioni che toccano la quotidiana miseria umana. Tra coloro che ne hanno scritto c’è Antonio Socci su Libero. Socci si domanda serenamente se i vescovi e i preti (specie tra quelli di Avvenire che non hanno battuto ciglio e ne hanno parlato bene) credono nella Resurrezione. Se ci credessero, sostiene Socci, e io con lui, non avrebbero permesso che (tanto per dirne una) durante un funerale cattolico si facessero sentire brani del cantautore Luciano Ligabue. Senza entrare nei termini dei testi delle canzoni e della persona di Ligabue, è sconcertante che si reputino queste canzoni pertinenti a una liturgia cattolica. Dopo lo sconcerto appare la frustrazione. Il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, non ha perso tempo e ha fraternamente replicato a Socci così: “Ad Antonio vorrei dire fraternamente che chi sa della vita, del dolore, dell'amicizia e della fede come lui sa, sa anche che 'un'eccezione alla regola', fatta per puro amore e puro dolore non e' uno scandalo e che senza l'amore siamo solo cembali che risuonano”. Lo scandalo c’è. E l’eccezione sarebbe un funerale celebrato come la Chiesa comanda! Sarebbe purtroppo un’eccezione non alla regola, ma alla prassi, invalsa in questo cristianesimo all’acqua di rose, buono per i demagoghi e i moralisti e non per gli uomini che aspirano alla santità.
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