Per l’ennesima volta mi ritrovo in serie difficoltà di fede e di umore, dopo essermi confrontato con realtà che vedono la fede come esperienza e che reputano secondario, se non addirittura d’impiccio, la conoscenza della dottrina cattolica. Quello che penso è evidente, ma forse giova tornarci sopra. Anche perché ho da poco finito di leggere un’intervista a don Michele Roselli, direttore dell’Ufficio catechistico della diocesi di Torino, pubblicata su Dossier Catechista (rivista che mi ha dato spesso modo di dubitare di certa prassi catechetica). Nell’introduzione a questa intervista si legge chiaramente “Ma oggi il passaggio da una catechesi dottrinale, gestita in modo scolastico e orientata soprattutto ai sacramenti, a una catechesi di tipo esperenziale, che orienta alla vita cristiana, è urgente.” E io che speravo il contrario! Leggo poi all’interno che una delle evidenze che don Roselli nota è che “oggi la fede non può più essere data per presupposta”. E questo è chiaro ed evidente; oltretutto l’ha detto anche il Papa nel presentare il prossimo Anno della Fede. Ma, mi domando: non sarebbe opportuno, per rifondare la fede, partire dalle fondamenta, quindi dalla dottrina, e poi cercare il resto? Credo che non si possa prescindere dalla dottrina. Essa deve essere il fondamento. È impensabile che a un ragazzo che esce dal catechismo se gli si domanda “chi è Gesù per te?” (compiendo già nella domanda un gravissimo errore di soggettivismo) egli risponda “un amico”, “il mio migliore amico”, “qualcuno che mi vuole bene”. Non che non possa essere vero intendiamoci, ma è un linguaggio che tradisce la realtà e la sminuisce pericolosamente. Si rimprovera al sottoscritto e a chi come lui insiste sulla necessità dell’insegnamento della dottrina cattolica, che insegnando la dottrina si finisce per essere dei formalisti (come se la forma fosse un accessorio), che sanno delle definizioni a memoria, ma che non hanno mai sperimentato Gesù Cristo. Che cosa s’intenda per sperimentare Gesù Cristo mi è di difficile comprensione, certo è che se non si sa che cosa la Chiesa insegna su Gesù Cristo, sulla Madonna, ecc, si finisce con il ridurre Cristo, Dio, i santi e la Chiesa ad una mera espressione di sé stessi. Essi così sono in funzione nostra, non “quello che realmente sono”. Don Roselli lo dice: “Talvolta la fede è ricercata soltanto in funzione del proprio benessere psicologico, come qualcosa che «faccia stare bene». Oppure si riduce al «fai da te»: ognuno confeziona una sua fede, scegliendo ciò che preferisce scartando ciò su cui fatica”. E mi domando: chi lo dice, se non la dottrina, che non devo prendere solo quello che mi fa comodo? Chi me lo dice, se non la dottrina insegnata dalla Chiesa cattolica, se la mia esperienza, “quello che mi fa stare bene”, è diversa da quello che Essa insegna? Per cui se io in Gesù ci vedo un amico va benissimo, se ci vedo un maestro va bene, se ci vedo un aiuto va bene lo stesso, se ci vedo la seconda Persona della Trinità e il redentore del mondo, qualche problema sorge perché tutta questa roba puzza di sacrestia, di catechismo e tradizionalismo. Si finisce così per ridurre tutto alla nostra portata e non a elevare noi alla portata di Dio. Stesso discorso per la Chiesa. Se in Essa ci vedo un gruppo di amici che si vogliono bene va benissimo, se in Essa ci vedo un gruppo di persone che credono alcune cose (ma non tutte) va bene, se in Essa vedo un po’ di preti, un po’ di suore e un po’ di laici che sono tutti la stessa cosa e possono tutti le stesse cose va bene lo stesso, se in Essa ci vedo il corpo mistico di Cristo, l’autorità del Papa, la Chiesa trionfante, purgante e militante, tutto ciò non va più bene perché puzza come prima di tradizionalismo e non influisce sulla mia vita. Ma qui ritorna pesantemente il problema di cosa sia la fede. Di cosa dice il Catechismo ne ho già parlato. Se pensiamo alla fede come a qualcosa che ci scalda il cuore e ci fa stare bene, la perdiamo alla prima illusione di benessere e la scambiamo con un piatto di lenticchie come il buon Esaù. Ci vuole poco, molto poco, con questa concezione della fede, a pensare che il nostro benessere è quello che penso io e non quello che mi dice Dio; pensare che Dio parli solo attraverso le Scritture e mai, ma proprio mai, attraverso il Magistero dei papi. Nel presentare questo rinnovamento della catechesi don Roselli sostiene che: «Essenziale è la nostra fiducia negli altri. Questa situazione ci stimola a uno sguardo di simpatia anche verso gli uomini e le donne di questo tempo» Qui mi tornano alla mente le parole del card. Biffi: «Una delle mode culturali più curiose invalse nella cristianità in questi decenni interdice a chi si accinge a stilare un documento o proporre una riflessione sulla odierna condizione umana e sui tempi presenti di iniziare dai rilievi “negativi”: è d’obbligo partire da una rassegna dei dati improntata a un robusto ottimismo; bisogna sempre collocare in capo a tutto un esame della realtà che non tralasci di mettere in giusta luce i valori, la sostanziale santità, la “positività prevalente”. […] Il fondamento dell’ottimismo cristiano non può essere la volontà di tener chiusi gli occhi. Bisogna per prima cosa guardare in faccia alla “Bestia” e renderci conto di quanto siano aguzzi i suoi denti e terrificanti i suoi artigli, se si vuole onorare e amare il “Cavaliere”, e si desidera capire davvero quale dono sia la nostra liberazione e la felicità che ci è stata assegnata in sorte.» Sembra quasi (e il quasi si potrebbe omettere) che bisogna avere fiducia nei confronti degli eretici e di chi insegna cose sbagliate. Come se bisognasse avere fiducia nei confronti di un pedofilo e affidargli la custodia di nostro figlio. Solo che la pedofilia sia un male lo sanno un po’ tutti (poi, però la combatte solo il Papa; ma questa è un’altra storia); che l’eresia sia un male ancor maggiore (perché compromette la salvezza eterna) non lo sa nessuno perché si pensa che in materia di fede ognuno possa pensare ciò che vuole. Se guardi l’uomo, giovane soprattutto, o adulto che sia, ti domandi: che ti manca per essere felice? Dovresti stare a sentire ciascuno e stilare poi un bilancio, una statistica. Ma sai per certo che se anche dessi quello che pensi gli serva, non sarebbe comunque felice. Perché i giovani dovrebbero convertirsi al cristianesimo? Perché dovrebbero dar retta al Papa (anche questo significa essere cristiani, miei cari)? La loro realtà è che hanno tanto, possono tanto, al momento possono non preoccuparsi di Dio. La loro esperienza è che possono (per quanto sia un’illusione) essere felici: con il sesso, con la droga, l’alcool, il consumismo, il denaro, il potere, ecc. Ma che queste cose sono un’illusione e non la strada per la felicità, ti può solo essere insegnato, lo puoi capire solo se c’è qualcuno che ti spiega le cose come stanno, se qualcuno ti fa capire che esiste una Verità, che essa è conoscibile, e che, per il semplice fatto che c’è, va seguita. Altrimenti? La disperazione. In eterno e già da qui: trascorrendo una vita priva di senso.
Mi colpì a suo tempo questa frase di Paolo VI che, secondo me, non è altro che uno slogan "il mondo ha più bisogno di testimoni che di maestri".
RispondiEliminaSenza nella togliere al valore della testimonianza, che è 'mostra' l'inveramento della Fede, mi vengono in mente le parole di Paolo ai Romani 10,14:
Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? Ecome potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati? Come sta scritto: Quanto son belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene!
Ecco, aggiungiamo: come potranno essere inviati (a fare da testimoni) senza prima essere stati istruiti secondo Verità, come ha fatto Gesù con i suoi che prima di inviarli ha istruito e costituito?
Romano Amerio afferma: «alla base del presente smarrimento vi è un attacco alla potenza conoscitiva dell’uomo» e definisce “pirronismo” (scetticismo) questa presunta incapacità di poter raggiungere la verità, frutto del metodo cartesiano non limitato alla facoltà di dubitare ma portato alle sue estreme conseguenze. Incapacità che diventa sfiducia, che si riverbera sull’autorità e sulla dottrina della Chiesa quali “garanzie di libertà”, con la conseguenza del caos dottrinale che sfibra la fede e provoca il soggettivismo etico.
E aggiunge: "e questo attacco rimanda ultimamente alla costituzione metafisica dell’ente e ultimissimamente alla costituzione metafisica dell’Ente primo, cioè alla divina Monotriade. […] Come nella divina Monotriade l’amore procede dal Verbo, così nell’anima umana il vissuto dal pensato. Se si nega la precessione del pensato dal vissuto, della verità dalla volontà, si tenta una dislocazione della Monotriade »
Ho ultimato una riflessione proprio sulla questione del Filioque (che pubblicherò domani) e della precessione della Verità, del Logos, dall'amore. Sta tutto lì.
EliminaEppure s'insegna il contrario.