mercoledì 7 dicembre 2011

Uno dei grandi assi portanti della catechetica contemporanea è quello riguardante la ‘gioia della fede’ e della sua ‘convenienza’. Sostanzialmente quello che con queste espressioni si vuole intendere è che chi ha incontrato Gesù Cristo e l’ha accolto nella propria vita è un uomo felice, che ha incontrato la gioia. Avere fede, credere in Gesù è quindi un discorso di convenienza. Conviene essere cristiani perché solo così si può essere felici. Non avrei niente da obiettare (andrei anche contro alcuni passi della Scrittura che si esprime in questo senso di gioia della fede), ma azzardo qualche considerazione che reputo importante ai fini del discorso. È vero parlare di convenienza della fede cattolica. Sia a livello personale, che societario, comunitario. Basti pensare alla storia della Chiesa: tutte le volte che i suoi uomini hanno realmente aderito, e seguito il Vangelo e il Magistero dei Papi, essi hanno portato solo che bene (evitiamo di credere ai vari santoni del momento quali Augias, Odiffreddi e compagnia bella, che si smentiscono da soli). La storia dell’Europa cristiana ne è un esempio. La scienza è nata nell’occidente cattolico. L’ordinamento dei processi e la tutela degli imputati sono opera della bistrattata Inquisizione; sempre cattolica. L’invenzione degli ospedali è frutto della carità cristiana (prima e dopo Cristo, cioè oggi, i malati si uccidono o gli s’impedisce di nascere). L’arte ha avuto un’esplosione nelle terre evangelizzate dai cattolici. Il progresso e la libertà, quello vero non quello della dea Ragione, sono andati di pari passo con l’annuncio del Vangelo. Tutte le società che hanno accolto la Buona Novella, rettamente interpretata dalla Chiesa Cattolica, hanno vissuto una vera e propria liberazione culturale, sociale ed economica. Non è questa la sede per andare oltre. A livello personale i cristiani, quelli veri, non quelli adulti o della fede privata e non vissuta, possono garantire l’esperienza affascinante e felice che è seguire Gesù di Nazareth. Tanti sono i cristiani che non hanno abdicato la propria fede anche a costo della vita. Altrettanti sono quelli che hanno sopportato immani sofferenze (tra tutti i martiri, così come gli attuali perseguitati) per difendere la loro fede. Quindi, che essere cristiani convenga e produca un cambiamento positivo e sostanziale della propria vita non credo si possa obiettare. Dicevo però che qualche considerazione in merito mi permetto di farla. Temo, e non credo di azzardare troppo, che una catechetica incentrata o sbilanciata sulla gioia e sulla convenienza della fede sia un po’ pericolosa e altrettanto sbagliata. Mi spiego. Qualora essere cristiani significasse, per il bene di altri, sacrificare i propri interessi, i propri piaceri, i propri guadagni, la propria salute, la propria libertà e, in estremo, anche la propria vita, saremmo pronti a professarci tali? Si tende a far passare il cristianesimo come la religione della gioia e dell’amore (attendo ancora che qualcuno mi spieghi realmente cosa sia), trascurando un aspetto fondamentale: quello della verità. Se seguire Cristo comportasse solo rinunce e sofferenze, nella speranza di una gioia futura, non presente (“Non prometto di renderti felice in questo mondo, ma nell’altro” disse la Madonna apparendo a Santa Bernadette a Lourdes), saremmo comunque disposti a dirci cristiani? Saremmo ancora pronti ad annunciare al mondo intero che solo Gesù Cristo salva e solo in Lui trova compimento e senso la nostra esistenza? Saremmo comunque pronti a garantire per la veridicità e la sanità del cristianesimo, se questo cozzasse (e cozza) contro i nostri miseri desideri e le nostre peccaminose passioni? Questo tipo di catechetica esperienziale, incentrata sulla convenienza e sulla gioia, rischia di decentrare il centro dell’Incarnazione di Cristo: la nostra salvezza dalla morte e dal peccato. Questo è l’importante. In Cristo troviamo la salvezza e la risurrezione. Che poi in questo mondo si versino lacrime o si sorrida è un accessorio. La fede garantisce la salvezza. Gesù ai Suoi disse: «Voi sarete odiati da tutti a causa del mio nome» [Mc 13,13], «Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi […] vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno» [Mt 10,16-17], «vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia» [Mt 5,11] A causa di Gesù, quindi, si avranno odio, incomprensioni, flagellazioni, insulti, persecuzioni, maledizioni, ecc. La gioia dov’è? La convenienza? Piuttosto si spieghi cosa s’intende per gioia e convenienza. La gioia non come uomini lobotomizzati, la convenienza non come guadagno in questo mondo ma, semmai, guadagno della vita eterna. Perché, parola sempre di Gesù, chi perde la propria vita per causa Sua (cioè tutto quello che abbiamo visto) avrà la vita eterna. Chi avrà la vita di questo mondo (consolazioni, gioie, felicità) perderà la vita eterna (cfr. Mt 10,39).

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