domenica 11 dicembre 2011

Ripesco dai miei appunti due citazioni, entrambe di Romano Amerio, grandissimo teologo cattolico le cui opere, dopo un pesante blocco ideologico subito da parte di certa intellighenzia cattolica, grazie a Editori coraggiosi hanno ritrovato luce, e hanno permesso, anche al sottoscritto, di poterne venire in possesso. Le due riflessioni che propongo sono in merito all’errore. Viviamo oggi in una società postcristiana, dove l’errore non esiste più, quel che conta è l’opinione, ed essa, in virtù del semplice fatto di essere espressa, ha titolo di cittadinanza e tutela da parte del diritto. Ovviamente, se parliamo di errore, parliamo di riflesso, di verità. E questa ci pare ancora più evidente come sia messa in discussione, se non apertamente ignorata e sbeffeggiata. Oltretutto la verità è motivo d’insulto e persecuzione per chi ancora in essa crede e chi ancora la persegue. Fra tutti, i cattolici. Seppure, a disonor del vero, molti di essi sono conquistati da questa malvagia idea di inesistenza della verità. O d’impossibilità di conoscerla. Costoro dovrebbero spiegarmi come sia possibile conciliare questa loro posizione ideologica con le parole di Gesù Cristo (Colui in cui i cattolici credono) che di sé disse: “Io sono la via, la verità e la vita” [Gv 14,6] O Gesù ha mentito o questi cattolici hanno preso una cantonata clamorosa. Purtroppo, a loro discolpa, va ammesso che questo patteggiamento con l’errore arriva anche da parte di quei pastori che, per la loro missione, sono chiamati a guidare il gregge loro assegnato. E un gregge non lo si conduce verso una meta dicendo loro “fate quello che vi pare”, “se andate a destra o a sinistra raggiungerete comunque la meta”, “se vi sentite una cosa fatela, perché è la vostra scelta”. Un gregge lo si conduce con fermezza dicendo “è così” e “no, non è così”. Il loro parlare dovrebbe essere “sì sì, no no” (cfr. Mt 5,37). L’errore lo si condanna, non lo si tollera. Infatti, scrive Amerio: “È invece una novità, ed è annunciata apertamente come novità nella Chiesa, l’atteggiamento da assumere di fronte agli errori. La Chiesa (dice il Papa) non depone né indebolisce la sua opposizione all’errore, ma «al giorno d’oggi preferisce far uso della medicina della misericordia piuttosto che delle armi della severità». Essa osta all’errore «mostrando la validità della sua dottrina piuttosto che con le condanne». Questo annuncio del principio della misericordia contrapposto a quello della severità sorvola il fatto che, nella mente della Chiesa, la condanna stessa dell’errore è opera di misericordia, poiché, trafiggendo l’errore, si corregge l’errante e si preserva altrui dall’errore.” [R. Amerio – Iota unum] I risultati di questa scelta, sono sotto gli occhi di tutti. Un’altra grave ed evidente conseguenza della perdita della verità, del suo annuncio e della sua difesa, e, quindi, della condanna dell’errore, è in ambito educativo. In questi anni, anche a seguito degli interventi in merito di Benedetto XVI, si fa un gran parlare di educazione. E di essa Amerio scrive: “L’errore fondamentale della pedagogia moderna è quello di credere che l’uso della punizione sia incompatibile coli’esercizio della carità e benevolenza. Il castigo fu sempre considerato parte integrante dell’educazione dell’uomo. La Bibbia in Prov. XII insegna che chi risparmia la verga odia il proprio figlio, e un proverbio egiziano dice che le orecchie dell’adolescente sono sulla schiena. Nella Regola di san Benedetto, che incivilì l’Europa, la corporale punizione è espressamente contemplata e i Benedettini che ressero dal 1927 il collegio Papio di Ascona la praticarono verso gli allievi fino al 1932. Il castigo si infliggeva con una sottile verga, ma Francesco Chiesa osservava acutamente che si dovrebbe invece esercitare soltanto con la mano, perché chi produce dolore deve anch’egli sentire dolore. Il vero si è che esistono una caritas mansuetudinis e una caritas severitatis e l’una e l’altra sono rivolte al bene dell’uomo, che ora si accarezza e ora si percuote.” [R. Amerio – Zibaldone] Non si punisce più perché non si reputa necessario farlo. Si crede che non ci sia niente da punire. Si ritiene che gli errori dei piccoli siano dovuti alla loro età, che prima o poi passeranno. E poi ce li ritroviamo in pizza a lanciare sassi contro le vetrine dei negozi o estintori contro le camionette delle forze dell’ordine. Si pensa, magari citando qualche illustre studioso, che il dialogo è la forma migliore di educazione. Il parlare è il nuovo, undicesimo, comandamento. Per alcuni, forse, anche addirittura l’ottavo sacramento. Per cui, non si fa nulla senza parlare. Senza spiegare. I maestri si mettono a livello degli allievi, così che gli allievi prendono il posto dei maestri e l’educazione va a farsi friggere. I maestri non ci sono più, perché non hanno più nulla da insegnare e non hanno più l’autorità per farlo. Se non ci sono maestri non ci sono allievi. Se non ci sono allievi non c’è educazione. Se non c’è educazione, l’incivilimento è alle porte. Noi, abbiamo già abbondantemente superato la soglia.

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