I giovani. I vecchi. E gli altri? Questa la domanda che mi ponevo qualche giorno fa prima di riversarla, con annesse considerazioni, tra queste righe. Non ricordo come tale questione si sia insinuata tra le falle (molte) della mia mente. Fatto sta che è entrata, ha trovato terreno fertile, ed è seminata. I frutti sono nelle prossime parole. La mia riflessione verte sull’importanza e l’attenzione che la Chiesa rivolge alle tre categorie di persone con cui si apre quest’ articolo. I giovani. I vecchi. E gli altri? Se, come fra poco esporrò, per le prime due categorie di persone, volenti o nolenti, un’attenzione c’è. Per questi fantomatici ‘altri’ (che poi vedremo chi sono) a quanto pare no. Ovviamente non mi riferisco alla Chiesa sacramentale. Essa amministra i Sacramenti a tutti. Su questo non si discute. Invece qualche stortura, e nemmeno lieve, mi sembra di ravvedere in quella cosiddetta Chiesa ‘pastorale’. Che è poi, con tutte le balordaggini che ha causato, quella più in voga negli ultimi cinquant’anni. Ha prodotto balordaggini anche perché, sotto l’etichetta di pastorale, si è fatto passare tutto e il contrario di tutto. Per i cattolici, così come per tutte le persone sane di mente, dal principio di non contraddizione non si può prescindere. Ma se sotto l’appellativo di pastorale c’è stato messo di tutto, il contrario di tutto andava tenuto fuori. Così non è stato, ma non è questo il momento di affrontare questo discorso. Torniamo a noi. Ai giovani e ai vecchi. Poi andremo agli altri. Partiamo, per rispetto, dai vecchi o, in politicamente corretto, gli anziani. I vecchi, almeno fino a qualche decennio fa, ora nemmeno più loro, erano credenti praticanti, anche per via del fatto che, avvicinandosi all’orizzonte della vita, le domande su Dio e sul senso dell’esistenza diventano pressanti e si finisce col rassegnarsi al Dio di Gesù Cristo. Per loro non c’è nessuna attenzione specifica, se non quella di sopportarli fino a quando il Padreterno lo vorrà. Si considerano i vecchi un prodotto scaduto, da conservare con cura (a volte, non sempre). Non sono una risorsa, non sono delle persone. Sono state persone cui rivolgere attenzione, ora hanno perso importanza. Ricevono quei due Sacramenti quotidiani più quello specifico per la loro condizione di caducità estrema. I vecchi sono trascurati perché si deve fare spazio ai giovani. Qui passiamo a loro, ai giovani. I giovani sono destinati a tutte le attenzioni pastorali, spesso spasmodiche e smodate. A loro sono affidate tutte le speranze e le attese future. Di loro ci s’interessa aldilà dei modi discutibili e, a mio pare, insufficienti e sbagliati. A loro sono rivolte tutte le energie ecclesiali. A loro sono rivolti i maggiori discorsi, i maggiori progetti, i maggiori sforzi. La cosa spesso triste è che ci si rivolge “ai giovani” come categoria, dimenticando che in questa categoria, in questa massa, ci sono dei singoli individui cui magari rivolgersi. Perché i discorsi alle masse servono fino a un certo punto, dopo quel punto serve un dialogo personale, individuale, che, per una serie di motivi, spesso viene meno. E gli altri? Coloro che sono nella via di mezzo? Giovani non sono più e vecchi non lo sono ancora. Di loro ci si è dimenticati, ancor più che dei vecchi. Credo, temo, con un errore sostanziale gravissimo. Di essi si pensa che, avendo avuto un contatto con le parrocchie, essendo usciti (alcuni, forse anche la minoranza) dal catechismo, avendo partecipato a qualche evento giovanile (gmg, campi, ritiri, pellegrinaggi, ecc) hanno sperimentato l’essere cristiani. Hanno sentito (questo il termine incriminato) qualcosa, si sono sentiti a loro agio, si sono sentiti bene, e questo dovrebbe bastare per dirsi cristiani e, soprattutto, per mantenersi tali nella vita. Eppure di costoro ci si dovrebbe interessare di più, equilibrando le attenzioni e non sbilanciandole solo verso i giovani. I non più giovani e non ancora anziani sono coloro che “muovono” il mondo. Sono coloro che stanno nei posti che contano, che prendono le decisioni importanti. Nel piccolo e nel grande. Occupano quei posti che ai giovani sono preclusi e che i vecchi, a parte qualche caso, hanno occupato in passato. Su loro pesa la responsabilità del mondo. Di loro, però inspiegabilmente, non ci si occupa. Sbaglia chi pensa che sia stata sufficiente un’esperienza emotiva, per quanto bella, in giovane età. Le esperienze, come tali, sono superate da altre. Non scandalizziamoci e non stupiamoci se poi, con il passare degli anni, quei giovani così entusiasti dell’esperienza vissuta, si dedicano ad altro. Se la loro fede è stata incentrata solo sull’emotività e sulla sensorialità, essa viene poi estirpata e sostituita con qualcosa di più soddisfacente. Ed è per questo che molti non più giovani e non ancora anziani sono insoddisfatti. Educati a ‘sentire’, vanno in cerca di sensazioni. Molto spesso le sensazioni più forti e carnalmente soddisfacenti le danno il mondo non la Chiesa. Ecco lì il perché della migrazione. L’errore più grosso starebbe nel pensare che la Chiesa debba munirsi di strumenti più coinvolgenti, più adatti ai giovani. Come se Essa avesse bisogno dell’elettroshock per stordire le persone e convincerle a credere. Non è la Chiesa che deve adattarsi. Sono gli uomini che devono rendersi simili a Essa. Perché la Chiesa è santa. Gli uomini no. Almeno non ancora.
Nessun commento:
Posta un commento