Quattro anni fa il Sommo Pontefice Benedetto XVI emanava il Motu Proprio Summorum Pontificum che, in sostanza, permette, a chiunque lo desideri, di celebrare liberamente la Santa Messa secondo il Messale del beato Giovanni XXIII. In soldoni: la cosiddetta Messa antica. Che non è solo latino, postura del celebrante, pizzi e merletti. È molto altro. Che volutamente si trascura perché timorosi che chi vi si accosta (e molti giovani ne sono testimoni) ne rimanga affascinato. E finisca con il preferire questo modo di celebrare a quello riformato. Sgombriamo subito il campo da dubbi: entrambe le forme del rito sono valide e legittime. C’è però all’interno della Chiesa una frattura grave ed evidente: tra chi pregiudizialmente preferisce il nuovo rito e chi sostiene che sia valido solo l’antico. Ciò che la Chiesa ha bisogno è di giudizi veri e reali, non di pregiudizi. E l’altra cosa fondamentale nella Chiesa cattolica è l’obbedienza al Papa. Il Papa, Benedetto XVI felicemente regnante, che ha voluto che l’antico rito fosse accessibile a tutti, liberandolo da ogni ostracismo. Ostracismi che però perdurano a causa di quei vescovi e sacerdoti che pensano di saperla più lunga del successore di Pietro in termini di liturgia. Aldilà del fatto, non trascurabile, che molti sacerdoti e vescovi tradiscono il voto di obbedienza pronunciato il giorno della loro ordinazione, la cosa più grave è il degrado cui assistiamo nelle liturgie quotidiane. Benedetto XVI, nell’inizio del Motu Proprio in questione, scrive che i papi hanno avuto sempre interesse che la “Chiesa di Cristo offrisse alla Divina Maestà un culto degno, “a lode e gloria del Suo nome” ed “ad utilità di tutta la sua Santa Chiesa””. In che modo Benedetto XVI è intervenuto per adempiere questo compito? Con il Motu Proprio Summorum Pontificum. Per il Papa, quindi, celebrare secondo il Messale antico è il modo per la Chiesa di rendere degno culto a Dio. E non si riesce proprio a dargli torto vedendo come si celebra secondo il rito riformato. Che il cosiddetto rito Tridentino avesse bisogno di riforme è fuor di dubbio, che quelle attuate (in ostentato disaccordo con quanto previsto e dichiarato dal Concilio Vaticano II) siano buone e degne di quello che si sta celebrando, è tutto da appurare. L’esperienza è una buona cartina di tornasole. Se una delle critiche maggiormente rivolte a chi celebra e difende il Messale antico è quella di rubricismo (cioè di attenersi a un aspetto formale delle rubriche della Messa), chi difende il nuovo Messale potrebbe benissimo essere accusato di sentimentalismo. O comunque di un’esagerazione opposta. Cioè quella di non attenersi più a nessuna norma. Non è impossibile, infatti, incontrare sacerdoti che muovono le mani a ritmo di musica, che alla Consacrazione sembra stiano recitando a teatro, piuttosto che pronunciando le parole che rendono Cristo presente nell’Eucarestia (lo stesso sacerdote al “prendete e bevetene tutti” ha indicato con il braccio tutta l’assemblea davanti a lui, come se stesse, appunto, recitando un copione). Non di rado troviamo Messe, dove le preghiere dei fedeli sono inni sindacali o demagogici, dove non si recitano le preghiere canoniche. Capita ogni tanto di ascoltare sacerdoti che cambiano le formule della benedizione e delle invocazioni. Per non parlare dell’indifferenza che regna durante la Consacrazione. In tutto questo, e ben altro, clima celebrativo, l’iniezione di sacralità data dal Summorum Pontificum fa ben sperare. Certo è che, come sempre nella Chiesa, la cura e le medicine ci sono; il problema sta nel fatto che i medici (i sacerdoti) non le prescrivono più. O perché pensano che i fedeli non siano malati, o perché reputano che quelle cure non siano sufficienti. E allora si ergono loro a scienziati liturgici e trasformano la liturgia in una festa mondana. Lo spazio e il tempo liturgico assomigliano sempre più a quello quotidiano. Non c’è più nessuna differenza e gli elementi mondani entrano a far parte di quelli sacri. La cosa più buffa, e agghiacciante, è che quest’operazione di desacralizzazione è voluta e sbandierata dai suoi sostenitori. Infatti, costoro sostengono che così facendo avvicinano la gente alla fede e riempiono le chiese. Che riempiano le chiese forse è anche vero, ma che le avvicinino alla fede sono profondamente scettico. Ciò che la gente ha bisogno (ma questi miopi pastori non lo colgono) è qualcosa di diverso dalla banalità e dalla miseria quotidiana. Se anche la Chiesa, nel Suo massimo splendore (la liturgia), propone le stesse cose che propone il mondo, dove sta la convenienza e la bellezza di stare nella Chiesa?
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