Con il ritorno dalle ferie estive e l’inizio di settembre, si ricomincia, oltre al traffico, a pensare e, soprattutto, a operare, per quel che concerne il nuovo anno pastorale. Tra il catechismo, gli oratori, lectio divina, corsi di formazione, corsi per fidanzati, consigli pastorali e quant’altro, le attività in parrocchia riprendono il loro corso. Con abitudini e tradizioni (e a volte storture) radicate nel tempo. Per quanto riguarda l’educazione e la formazione dei più piccoli e dei giovani, riscontro due grandi limiti. Uno, a me molto caro, è quello dottrinale; l’altro è squisitamente pastorale (cioè teso alla cura della comunità cristiana). L’aspetto dottrinale è tragico ed evidente. Ai ragazzi non è insegnata più la dottrina cristiana. Probabilmente perché, proprio per gli stessi sacerdoti e i loro diretti superiori (i vescovi) essa è una pietra d’inciampo, piuttosto che una roccia salda su cui fondare (e fondarsi) ogni scelta di vita. Infatti, la conoscenza, l’accettazione e l’applicazione della dottrina cristiana (quella vera, non quella dei teologi da giornale) stronca sul nascere tutte quelle storture cui assistiamo quotidianamente. Essa è sana perché santa, rivelata da Dio. Non fabbricata da uomini, come invece accade per le ideologie umane. Queste, infatti, se realizzate, mostrano il loro spettrale risultato: morte, desolazione, schiavitù. La dottrina cristiana (intendo quella cattolica, sia chiaro) libera, matura, permette agli uomini di diventare quello che potenzialmente sono: santi. La preoccupazione pastorale dei pastori di oggi, invece, sembra quella di dare più un’educazione civica, che un’educazione cattolica. Un’educazione buonista e quindi falsa e perversa, piuttosto che un’educazione reale e vera. Infatti, non si parla mai di dolore, sofferenza, morte, giudizio, Inferno e altri temi “difficili”. Quello che s’insegna è a voler bene al prossimo (magari in Africa e non quello che ti sta accanto), a votare bene alle prossime elezioni, a non sporcare per strada, ad aiutare gli anziani ad attraversare la strada, a riciclare, a realizzare sé stessi, ad ottenere ciò che vogliono, ad avere successo, ad amare sempre e comunque (ma amore mocciano, non amore cristiano). Cose queste a volte anche importanti, ma non certamente necessarie per la salvezza dell’uomo. Cose, altrettante volte, banali, che distorcono la realtà e rendono le persone degli inetti. Se fra un decennio ci troveremo degli incapaci a vivere, la colpa è anche di certi sacerdoti e catechisti che pur di avere le stanzette (e i bussolotti) pieni, si sono conformati al mondo e hanno insegnato le cose del mondo, piuttosto che quelle di Dio. L’altro aspetto drammatico, e come definito sopra “squisitamente pastorale”, è quella che, a mio avviso, è una lacuna spaventosa: manca una visione cattolica del mondo. Come conseguenza di un mancato insegnamento delle basi (la dottrina), ovviamente la conseguenza è una miopia nei confronti delle cose che accadono vicino a noi, accanto a noi, e dentro di noi. Non sappiamo (io per primo) più discernere e affrontare le cose, seguendo una pura visione cattolica della realtà. Che non è moralismo e puritanesimo ma libertà nella verità. Quello che ci preme è formare buoni cittadini (magari mosci e senza spina dorsale), piuttosto che buoni cristiani. Cerchiamo allora, con i nostri limiti e le nostre incapacità, di rendere testimonianza a Colui che mediante la Sua Passione, Morte e Resurrezione, ha redento il mondo. Perché ci dia occhi per vedere le cose non secondo i nostri interessi e i nostri schemi, ma secondo i Suoi; che ci dia polmoni per respirare l’aria buona della fede; e una bocca pronta a proclamare la Verità del Vangelo, sapientemente custodita dalla Chiesa cattolica.
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