lunedì 4 luglio 2011

Sfogliando il Sussidio per confessori e direttori spirituali, a cura della Congregazione per il Clero, leggo quanto segue: “Il luogo visibile e decoroso del confessionale, «provvisto di una grata fissa tra il penitente e il confessore, cosicché i fedeli che lo desiderano possano liberamente servirsene» costituisce un aiuto per entrambi” (n. 41) Questa disposizione è presente anche nel Codice di Diritto Canonico (CIC, can. 964, § 2). Ora leggendo queste righe le considerazioni sono due. La prima di carattere pastorale, la seconda di carattere “giuridico”. Partiamo dall’ultima. Perché (sempre lì andiamo a parare) se la Chiesa stabilisce alcune norme, nelle chiese queste norme sono tranquillamente disattese? In quante chiese ci sono ancora le grate nei confessionali? Probabilmente nelle chiese costruite prima del delirio ideologico in cui imperversa la Chiesa di oggi, e sicuramente nelle chiese dove sono presenti i confessionali di vecchia concezione. Oggi come oggi spesso e volentieri la grata o è mobile o non c’è proprio. Più di qualcuno si domanderà: Qual è il problema? E qui entriamo nella questione pastorale. Innanzitutto, se la Chiesa dispone in un determinato modo, un motivo ci sarà, chi siamo noi per disporre in maniera diversa, se non addirittura opposta? Ma, cosa più importante, l’esistenza della grata permette al penitente di evitare di guardare il sacerdote. Infatti, pur essendo egli il ministro di quel Sacramento, è Cristo che celebra e assolve i peccati. Per questo sulle grate spesso si trovano incise delle croci. A chi bisogna guardare quando ci si confessa? A Cristo, che agisce nel sacerdote è vero (non siamo protestanti), ma che comunque non agisce per sé stesso, ma in persona Christi. Visti gli scandali venuti fuori negli ultimi anni, la grata eviterebbe spesso e volentieri abusi da parte dei sacerdoti nei confronti dei penitenti, e risparmierebbe agli stessi sacerdoti qualche tentazione di troppo. Infatti, non è un caso che, tra le altre cose, alcuni abusi di questo ministero si siano realizzati proprio quando il Sacramento della Penitenza ha perso il suo valore fisico e il suo valore trascendente. Oggi la Confessione sembra assomigliare ad una seduta psichiatrica o da un psicologo. L’unica differenza è che non c’è il lettino, non ci sdraia e non si paga. Anche se, va ammesso, anche qui non ci s’inginocchia più. Ci sono al massimo due sedie. Un tavolino. E si chiacchiera. Forse a breve ci sarà anche il sagrestano che serve un aperitivo, giusto per rendere più familiare la chiacchierata. Aldilà delle ironie è evidente che anche questo Sacramento ha perso molta della sua efficacia. Perdita che è stata determinata anche dalla perdita della forma. A essere stata trasformata (o rimossa) non è solo la grata, ma anche tutto il confessionale in sé. Infatti, seppur il Codice di Diritto Canonico imponga che “Non si ricevano le confessioni fuori del confessionale, se non per giusta causa” (CIC, can. 964, § 3), spesso e volentieri non è più il confessionale il luogo dove si amministra il Sacramento, ma qualsiasi altro spazio o posto. Sempre in questo senso fa riflettere quanto scritto nell’introduzione al Sussidio. Leggiamo: “Laddove c’è un confessore disponibile, presto o tardi arriva un penitente; e laddove persevera, persino in maniera ostinata, la disponibilità del confessore, giungeranno molti penitenti!” Dove sono oggi i confessori? Spesso i confessionali, in chiese già vuote dei tabernacoli nascosti dietro qualche pianta, sono vuoti! Il confessore, si legge in qualche avviso, è a disposizione. Basta cercarlo. Ma, sarebbe opportuno, che il sacerdote si faccia trovare. Confido qui una mia sensazione personale, che però credo possa riguardare molti. Trovo molto confortante, oltre che invitante, scorgere nelle chiese la luce accesa all’interno dei confessionali. Sia perché se c’è qualcuno che si sta confessando, sia vederli vuoti, ma col sacerdote all’interno. È un invito a entrare. A lasciarsi avvolgere da quella luce. Non sappiamo perché la gente entra in chiesa. Magari per riposarsi, per pensare, o anche un minimo per pregare. Bisogna essere pronti a tutte le necessità. Conosciamo la conversione di molti, avvenuta proprio per confessioni non premeditate. Non possiamo negare la possibilità e la speranza di confessarsi, a qualcuno che, inconsciamente e magari in preda a qualche crisi, entra nelle chiese cercandovi lì, l’ultimo appiglio a un dolore insanabile.

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