sabato 16 luglio 2011

Manca un mese esatto alla Giornata Mondiale della Gioventù. Ad un evento che, a prescindere da quello che si pensi, coinvolgerà milioni di giovani, il Papa, e quindi la Chiesa cattolica. È un evento che, almeno personalmente, suscita fascino e riflessioni. La Giornata mondiale della Gioventù di Madrid sarà la mia prima esperienza di questo tipo. Sicuramente l’incontro con il Papa, con Benedetto XVI in particolare, è per me, motivo di gioia. Per un cattolico dovrebbe essere lo stesso, ma sappiamo non essere così. Ed è proprio da questa consapevolezza che nascono alcune domande e alcune, mie, stonate considerazioni su questo evento. Sulla sua utilità e, soprattutto, sulla sua veridicità. Rimando a fine agosto queste considerazioni. Quello che mi affascina, in vista di questo evento, è la sua natura di viaggio, di una sorta di pellegrinaggio. In sostanza, sull’essere in cammino del cristiano. Più in generale ogni uomo è in cammino sulla strada del mondo. Ogni uomo è alla ricerca di senso (anche chi dice che un senso non c’è), di risposte agli avvenimenti della sua vita. Il cristiano, in particolar modo, sa da dove viene e sa dov’è diretto. Sa anche da Chi è accompagnato. E, nello specifico, sa che questa guida non è una forza, uno spirito, un’idea, ma una Persona: Gesù Cristo. Ed è proprio a Lui che il cristiano deve far riferimento. È Lui che prende come metro di giudizio della propria vita, come unità di misura delle proprie scelte, come obiettivo di ogni sua crescita morale. Ogni cammino, però, porta a una meta, a una conclusione. A una soddisfazione o a una delusione. Non è e non può essere un’esperienza autoreferenziale, dalla quale non si esce. Ci deve essere un punto. Una fine. Parlare di fine sembra scorretto, poco elegante. Sicuramente traumatico. Eppure la vita è un ripetersi di finali, che conducono (non sempre) a rinascite. Fino al gran finale della morte. Che tutti spaventa, ma che permette in quanto tale, di rendere merito (o demerito) ad una vita. Fine che permette di valutare e giudicare il percorso compiuto. Non è il viaggio in sé, il camminare in sé, che produce la salvezza o la felicità. Non basta essere in viaggio, a prescindere dal punto verso cui ci si sta dirigendo. Ma è fondamentale individuare la meta che si vuole raggiungere, capire se si riesce a raggiungere e su chi si decide di percorrere questa strada. Nessun uomo basta a se stesso, quindi è importante anche valutare chi può aiutarci, e chi possiamo noi aiutare, a percorrere il pellegrinaggio della vita. E quello che è altrettanto importante, e che abbiamo purtroppo dimenticato nella nostra visione consumistica della realtà, è quanto (e quali!) effetti producono in noi l’esperienza del viaggio che abbiamo compiuto. Parlando di fine, di conclusione del viaggio, viene in mente l’umana necessità di trovare dei punti fissi, dei punti fermi e chiari su cui far affidamento. Spesso si ha allo stesso tempo il desiderio, quasi si sente il bisogno, di trovare la soluzione alla propria vita. Di procurarsi quanto basta, quanto serve, per poi essere in grado di vivere e di saper affrontare ogni situazione. Si pensa che sistemato il lavoro, gli affetti, gli amici e il tempo libero, poi la vita sia tale perché è un costante ripetersi di appuntamenti. L’ordinarietà che oggi come oggi è saltata, ma alla quale sempre più spesso si anela. Certo che un ordine nella propria vita va trovato e realizzato, ma, tornando ad una visione cattolica, va notato come “Gesù non può essere fissato in un solo punto. La sua dimora è il cammino che lui percorre. Solo seguendolo, solo incamminandoci con lui lungo quello stesso cammino scopriamo dove abita. E allora impareremo anche a vederlo. Se vogliamo comprendere lui e il suo insegnamento solo a partire dalla teoria, dalla riflessione, non lo conosceremo di certo. [J. Ratzinger – Dio e il mondo] L’essere cristiani, la visione cattolica della vita, non porta ad una stabilità, ad un’”accasarsi”, ma ad un continuo cammino di perfezione e di elaborazione di sé stessi, seguendo Gesù. Questo mondo ci dice che siamo arrivati. L’istinto è il traguardo, il fine da raggiungere. L’egoismo esasperato. Quello che abbiamo fatto è quello che noi siamo. Abbiamo commesso uno sbaglio? Siamo uno sbaglio, un rifiuto della società. Questo crea, oltre che la pazzia, il disordine più totale. Di se stessi, dei rapporti, della società. Ed è quello che vediamo quotidianamente realizzarsi sotto i nostri occhi. Essere cristiani non è essere discepoli di un mago, non è seguire uno stregone. Non è un incantesimo che risolve tutti i problemi. È un cammino, un percorso che ogni uomo fa. Sulla strada della verità. Che non è, come qualcuno maligna, stretta. Dove tutti camminano carponi, uno dietro l’altro, e che pensano le stesse cose. La strada della verità è larga, spaziosa e scorrevole. Ha sì dei limiti e ha un fine ben definito, ma è l’unica strada che rende liberi e felici. Bisogna mettersi in cammino. Se fanno male le gambe significa che è la strada buona!

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