Rimaniamo in tema di arte. Sul Messaggero di oggi Danilo Maestosi prova a fare il punto della situazione sul rapporto tra arte e sacro. E lo fa raccogliendo il pensiero di alcuni architetti, critici e filosofi. Il giudizio, complessivo, è preoccupante. Il primo spunto è dello stesso Maestosi, il quale afferma che: “Ma soprattutto torna a richiamare l’attenzione sullo strappo che si è consumato tra l’arte di oggi e la rappresentazione del sacro, tra i canoni della fede e quelli della creatività.” Ma, direi, anche e soprattutto lo strappo tra l’arte di oggi e la percezione della gente. Si è ottenuto, come voluto, di allontanare la gente dall’arte, di confinare questa in musei, esposizioni, installazioni indipendenti. Sradicando l’arte dal suo fine, la gente ha finito di disinnamorarsi dell’arte. Prosegue l’articolo con l’intervento dell’architetto Paolo Portoghesi che sostiene «Si è creata una maggioranza silenziosa che non capisce, non apprezza l’offerta degli autori contemporanei. Lo stesso avviene tra i fedeli, la devozione popolare è molto legata alla verosimiglianza». Mi viene da pensare che, ovviamente, chi non capisce è il pubblico. L’idea che l’artista possa sbagliare non c’è. E poi c’è il contributo del filosofo Mario Perniola: «Nell’arte di oggi che insegue lo stupore, il consumo, l’istante, non c’è posto né attenzione per il sacro. Né voglia di sottostare ad alcuna regola, come quelle che la fede prescrive». Mi viene da pensare che noi cattolici che siamo furbi, aperti e scaltri, agli artisti che della fede non gliene frega niente, dei destinatari della loro opera tantomeno, questi artisti li osanniamo, li incensiamo (cose che non facendo più nelle liturgie, a qualcuno dobbiamo pure destinare) e li incarichiamo di scolpire statue di santi e costruire chiese. L’articolo termina con delle positive speranze, citando, ad esempio, la chiesa di Dio Padre Misericordioso (la cosiddetta chiesa “delle vele” di R. Mayer a Roma). Il mio di giudizio è seriamente critico e preoccupato. Se questi sono i presupposti, non c’è da star sereni. Il problema principale, credo, sta nella destinazione, nell’uso che di una statua, di un edificio, si deve fare. Se si deve costruire una chiesa, si deve sapere cosa per chiesa s’intende. Cosa in quella chiesa si celebrerà. Un conto un rito cattolico, un altro conto un rito protestante. Purtroppo negli ultimi decenni questa differenza non è stata colta. Anzi, se si entra in alcune chiese cattoliche, il dubbio di trovarsi in chiese protestanti viene. Infatti, il centro della struttura non è più Nostro Signore Gesù Cristo conservato nel Tabernacolo (rifilato in angoli bui, deserti e lontano da ogni sguardo). Questo tanto per dirne una, la più importante. La più sconvolgente. Il resto vien da sé. Niente più inginocchiatoi. Niente più crocefissi. Stravolto il senso degli altari. Niente via crucis all’interno delle chiese. Niente più statue. Niente più immagini sacre. Quintali d’intonaco bianco o di altro colore e poco altro. Non c’è più il senso del sacro. L’elevazione dell’uomo a Dio. Non c’è più Dio. E questo penso possa bastare a giustificare la mia seria critica e la mia profonda preoccupazione.
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