Leggo su DossierCatechista (rivista a cura del Centro Evangelizzazione e Catechesi Don Bosco che, nel suo sottotitolo si definisce come uno “strumento per la formazione personale e di gruppo dei catechisti”) di maggio 2011 nella sezione “Primi passi” una domanda che un (ipotetico?) bambino pone al chi cura questa sezione della rivista. La questione è la seguente: “Nella lezione di scienze, la maestra ha spiegato che l’universo è nato da una grande esplosione: il Big-Bang, e che l’uomo si è evoluto nel tempo. Al catechismo invece la catechista ha letto il racconto della Genesi. Quel libro narra che il mondo è stato creato da Dio in sei giorni e i primi uomini furono Adamo ed Eva. Chi ha ragione allora, la scienza o la Bibbia?” La risposta, per un cattolico, mi sembrerebbe abbastanza scontata. Anche perché il cattolico non è un deficiente (lo so che sembra strano, ma non è così, anzi!). E il cattolico crede (e sa) che quanto detto nella Bibbia non contraddice (non potrebbe essere diversamente) quanto la scienza insegna. Anche perché la Bibbia non è uno studio scientifico e quindi il Suo obiettivo non è quello di spiegare come funziona il mondo. Però a volte, come questo caso, sembra scontrarsi con la ricerca scientifica. Senza entrare nel merito della questione, quello che mi stupisce (per essere moderati nei termini) è che la suddetta rivista “strumento per la formazione personale e di gruppo dei catechisti” risponda dicendo che: 1) il racconto di Genesi è una meravigliosa preghiera di ringraziamento che inizia così “In principio Dio creò il Cielo e la Terra…”; 2) non confermi il fatto che il mondo, Big-Bang o non Big-Bang, l’ha creato Dio; 3) non dica nemmeno una parolina critica nei confronti della teoria evoluzionistica. Il silenzio-assenso sugli ultimi due punti lascia facilmente pensare che Dio non ha creato il mondo e che noi uomini discendiamo dalle scimmie. Un uomo non può credere queste cose. Tantomeno un cattolico! Noto in questa rivista, almeno in questo intervento, qui come altrove tra i cattolici, una certa difficoltà nei confronti del mondo. Viviamo un pesante complesso di inferiorità. E non me ne capacito. Dovrebbe essere il contrario. Eppure non abbiamo il coraggio e le capacità di saper rispondere a quanto il mondo ci dice. A quanto ci domanda. E a quanto ci critica. Anche la più feroce critica ha in sottofondo una domanda. Che noi miseramente tradiamo lasciando ciascuno nelle sue convinzioni. Anche erronee. È questo un ottimo esempio del mito che definirei conciliativo. Bisogna sempre trovare un accordo. Io dico A, tu dici C e allora le cose sono due. O hai ragione te e le cose sono C, o magari (anche se non lo so e tutto mi induce a pensare il contrario) le cose sono AC. Mai A. i cattolici questo fanno: non rivendicano mai la veridicità, la fondatezza (filosofica, razionale e scientifica – con i dovuti distinguo sia chiaro -) della loro fede e del loro Credo. Se nel Credo recitiamo “Credo in un solo Dio […] creatore del cielo e della terra e di tutte le cose visibili ed invisibili” un motivo ci sarà. O no? Frutto del mito conciliativo è la metodologia dell’insaccato. Secondo la quale (immaginatevi un insaccato qualunque) l’importante è la parte grande, quel che resta, e una fettina si può anche tagliare, cedere, lasciare andare. Con l’ovvia conseguenza che taglia e taglia, del grosso non rimane niente. E il nostro Credo lo mandiamo al diavolo. Oltre a ribadire il fatto che il mondo (visibile ed invisibile) e l’uomo, sono stati creati da Dio, la rivista in questione non avrebbe fatto male a dire che la maestra di scienze, magari, sarebbe stata in dovere di esplicitare che la teoria evoluzionistica (perché di teoria si tratta) è scientificamente (e non teologicamente) molto, ma molto (ma molto, eh!) discutibile. Tutto questo non accade e non mi capacito del perché. L’unica cosa che mi appare sempre più evidente, è che capisco poi, perché, i giovani (o i giovani quando crescono) si allontanano dalla Chiesa e dalla fede. Se non si danno loro queste risposte (la verità) essi si perderanno, cercandola altrove. Con un deludente, e spesso dannoso, risultato.
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