giovedì 24 marzo 2011

Non sempre possiamo fare quello che vogliamo. È difficile crederlo, ma è basilare capirlo. Credere di essere onnipotenti, di essere costruttori del proprio destino, rischia di creare pesanti frustrazioni e beffarde delusioni. Non siamo schiavi, è vero. Ma la nostra volontà non è determinante per il raggiungimento dei nostri obiettivi. O almeno non sempre. Non basta volerle le cose perché esse accadano. Forse non basta nemmeno essere in due a volere la stessa cosa. Tantomeno essere la maggioranza. Ma non è di politica e di società che volevo parlare. Il limite più grande alla nostra volontà, oltre alla volontà di Dio, è la libertà degli altri. Libertà di fare o non fare qualcosa. Di accettare o rifiutare. Sostanzialmente di scegliere. Anche il male. Perché sì, gli uomini possono scegliere anche il male. Magari non sempre nel pieno delle loro capacità cognitive, non sempre credendo che esso sia tale, ma spesso anche proprio perché è tale. Ma comunque capita (e più frequentemente di quanto si pensi) che il male venga scelto come possibilità. Che si trasforma poi in realtà. Faccio due esempi. Io non posso pensare di determinare le sorti della guerra in Libia. Per quanto qualche idea in merito potrei averla. Pur volendo non posso scegliere chi sarà il prossimo Presidente del Consiglio italiano. Pur esprimendo il mio voto, questa possibilità può non realizzarsi. Vorrei (e sapeste quanto vorrei!) essere in una redazione di qualche giornalone nazionale e far in modo che le notizie siano vere e non verosimili. Che esse non siano scritte in funzione di una scelta ideologica o tantomeno partitica. Vorrei, ma non posso. Così come (secondo esempio), non posso pensare, in una ipotetica partita a poker, di fare un poker se ho cinque carte diverse (paradossalmente nemmeno se ne ho tre uguali e ci spero tanto che cambiandone due me ne entri una uguale alle altre), o un full se ho due coppie e una quinta carta diversa. Semplicemente non posso. Magari capita la mano buona e le carte ti entrano. Ma anche l’ingresso delle carte non è tua volontà. A meno che non sei un baro. Ma l’opzione non la prendo in considerazione, mi tengo ancora sul piano del moralmente lecito. Quindi siamo rassegnati ad una sorte beffarda? Siamo in balia della volontà degli altri, senza che possiamo fare nulla? Da cristiani la risposta è semplicemente e profondamente negativa. Sappiamo che non siamo in balia del caso, ma nella mani della Provvidenza. E la differenza, sostanziale, c’è. Il primo (il caso) è cieco e magari anche cattivo. Il secondo (Dio) è buono e giusto. E di questo possiamo consolarci. Ma, comunque sia, alla fine, che fare? Non possiamo comunque fare nulla? Possiamo amare è vero. E siamo chiamati a farlo. Ma l’amore cristiano (che non è quello dei Baci Perugina e del “volemose bene”) non sempre produce quello che noi speriamo. Non sempre in cambio riceviamo amore. Cristo amando è stato messo in croce. I martiri per amore sono stati uccisi, arsi vivi, crocifissi, ecc. Quindi anche qui sperimentiamo una sorta di impotenza della volontà. L’unica soluzione è affidarsi a Dio. Che sembra molto simile al rassegnarsi ateo, ma è profondamente e sostanzialmente diverso. Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che Dio, dopo aver creato l’uomo, non lo abbandona a sé stesso, ma (tra le altre cose) lo conduce al suo termine. Che non è che lo porta a morire, ma che lo accompagna nella sua realizzazione, al raggiungimento del suo scopo ultimo: la sua vocazione. Il Catechismo prosegue: “Riconoscere questa completa dipendenza in rapporto al Creatore è fonte di sapienza e di libertà, di gioia, di fiducia” [CCC, 301] Bisogna riconoscere quindi questa dipendenza. E non, come gli ideologi, i riformatori, ecc, che tra le loro convinzioni e la realtà preferiscono le loro convinzioni, le loro astrazioni ideologiche. Con le conseguenze, nefaste, per la realtà.

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