mercoledì 2 marzo 2011

Ecco cos’è l’aborto. Ecco come funziona, almeno in Italia (all’estero credo sia anche peggio). L’omicidio di un essere umano (finiamola di chiamarlo ipocritamente “interruzione volontaria di gravidanza”) passa per l’indifferenza dei medici. Come nessun sostenitore dell’omicidio di un essere umano (l’aborto) ha mai detto, la pratica abortiva non è assolutamente per il bene della donna. Anzi, è una pratica profondamente maschilista. Infatti sottrae quest’ultimo da ogni responsabilità. Quante donne e ragazze, abbandonate dopo una gravidanza indesiderata, hanno deciso di uccidere un essere umano (abortire) perché lasciate sole a sé stesse? Lasciate sole dai maschi: compagni e medici. Una di queste storie l’ha raccontata Giorgio Gibertini su La Bussola Quotidiana (vedi nelle note). Di questa storia, di questa intervista, due sono state le cose che mi hanno fatto riflettere. Primo: “Quanto a me, alternavo momenti in cui tutto sembrava chiaro a favore dell’interruzione della gravidanza ad altri in cui ogni cosa sembrava ugualmente chiara ma dire il contrario, tanto che una volta chiamai l’ospedale per annullare tutto. Però ritelefonai due giorni dopo, convinta che quella non fosse la scelta migliore, ma l’unica possibile.” Possibile che all’ospedale, nessuno, si sia domandato perché quella donna piangeva? L’uccisione di un essere umano è diventata la prassi negli ospedali italiani? Ormai alle lacrime non si dà più peso, sono diventate normali? Possibile che nessuno si sia posto il problema di così tanti e repentini cambi di decisione da parte di questa ragazza? È possibile tutto ciò? Sì, pare possibile. Secondo: “Nel mio caso, anche se alla visita piangevo come una fontana, la risposta glaciale che ebbi al mio «non sono sicura di volerlo fare», fu un secco «non è un mio problema». Il medico che avviò l’iter non mi chiese neppure i motivi del mio rivolgermi a lui.” Come volevasi dimostrare. La campagna referendaria a favore dell’aborto (che per motivi anagrafici non ho vissuto) puntava, tra le altre cose, sul fatto che l’uccisione di un essere umano (l’aborto) sarebbe stata la “soluzione” a gravidanze pericolose per la vita della donna. Ci sarebbe dovuto essere un motivo valido. Certificato dai medici. I medici ora nemmeno lo chiedono più il motivo. Quindi può essere anche banale. Una questione di gusto. Di decisione. Di valutazioni erronee. Credetene quello che vi pare dell’uccisione di un essere umano (l’aborto), ma sappiate che l’averlo legalizzato ha introdotto nella mentalità comune (consciamente o no), che della vita dell’uomo si può disporre. Il tanto decantato benessere delle donne che l’uccisione di un essere umano (l’aborto) avrebbe dovuto portare nel nostro Paese, dov’è? Le donne che abortiscono piangono. Soffrono. E sono più sole di prima. Mi sia permessa un’ultima considerazione da trarre da questa storia. La stessa ideologia che ha introdotto in Italia l’aborto è la stessa che vuole introdurre l’eutanasia e poi chissà quale altra atrocità. La tattica, pure, è la stessa. Parlare di benessere e di civiltà. E, soprattutto, sfruttare casi limite. Con l’aborto si è iniziato giustificandolo per feti malformati e in quei casi in cui era a rischio la salute della donna. Ora vediamo come vanno le cose. A rischio non c’è più la salute del nascituro o della donna, ma la moralità e l’umanità del nostro Paese.

http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-silvia-e-laborto-e-poi-fuori-a-riveder-le-stelle-1134.htm

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