lunedì 28 febbraio 2011

C’è un destino che, seppur in termini opposti, ma per certi aspetti concordi, accomuna due epoche storiche. Lontane nel tempo e abbastanza distanti anche l’una dall’altra. Sono il Medioevo e il Risorgimento. Di entrambe nella testa abbiamo una idea chiara, decisa e quasi saccente. Idea che però difficilmente concorda con quella degli storici specialisti. In questi casi la scienza (quella storica nello specifico) deve, nell’imbarazzo, lasciare il posto all’ideologia e ai pregiudizi. Pregiudizi che rimangono e vengono ricalcati ogni volta. Infatti su entrambi questi periodi storici la scuola e la cultura comune insegnano e diffondono alcuni capisaldi. Che, ripeto, sono di proprietà dell’ideologia e non della storia. Entrambi i periodici storici, a partire dal nome, rievocano e indicano un giudizio preciso su quel determinato periodo. Se infatti per il periodo di tempo che, per comodità di studio, va dal V al XV secolo, si usa il termine Medioevo, si intende che questo è un periodo di mezzo, di transizione, privo di interesse, di peculiarità, che ha avuto la sfortuna di stare tra due grandi periodi storici. L’età grecoromana prima e l’epoca rinascimentale dopo. Milioni di studi non sono serviti a dimostrare la ricchezza, la bellezza e la peculiarità del Medioevo. Sia chi lo esalta, sia chi lo demonizza, si è passati dalla serietà critica alla banalità. Infatti il termine “medioevale” ricorre (anche nei TG del 2011) ad indicare qualcosa di oscuro, di retrogrado e di bigotto. Stesso discorso, seppur con valenza opposta, vale per il Risorgimento. E su questo ci soffermeremo un po’ di più, viste le commemorazioni che lo esaltano a destra e a manca in questo anno. Il termine “Risorgimento” sta ad indicare una rinascita che a partire dal fatidico 1860 dovrebbe aver attraversato l’Italia. Non solo e soltanto a livello politico (che sarebbe comunque tuttavia da discutere), quanto a livello culturale, sociale e morale. A questo proposito ci viene in aiuto un piccolo libretto (di cui consigliamo vivamente la lettura) di recentissima pubblicazione del Cardinale Giacomo Biffi, dal titolo L’unità d’Italia edito da Cantagalli. In uno dei primi capitoli il porporato così scrive: “Ma nella sua denominazione [il Risorgimento]. Oltre che nella storiografia più diffusa e, conseguentemente, nella retorica divulgata, si tende a lasciar credere che si sia trattato di una rinascita totalizzante: un passaggio degli italiani dalle tenebre alla luce, se non proprio dalla morte alla vita. Prima del 1860 – si ama supporre – tutto è degenerazione e squallore: dopo il 1860 tutto riprende a fiorire.” Invece la realtà, come spesso accade, dimostra l’esatto opposto dell’ideologia e della retorica. Il Cardinal Biffi infatti espone, in maniera sintetica ma precisa e chiara, i campi della cultura, fornendo nomi e date, dove fino al Settecento (prima appunto dell’Unità) l’Italia si è sempre positivamente contraddistinta e nei quali tutto il mondo ci guardava e invidiava. Poesia, architettura, pittura, musica e ricerca scientifica. Nessun campo del sapere rimaneva fuori. Il Cardinal Biffi constata amaramente e con quel pizzico di ironia che sempre lo contraddistingue come “le genti italiche – che, divise, in tutti i campi avevano continuato a insegnare qualcosa a tutti – una volta raggiunta la sospirata unità e indipendenza politica, hanno solo cercato di imitare un po’ tutti, specialmente i francesi e gli inglesi, fino a rassegnarsi all’attuale condizione di colonia culturale statunitense.” Andiamoci piano, dunque, con le esaltazioni retoriche e infondate dell’Unità e del presunto Risorgimento. Ciò non giova certamente a nessuno.

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