Non è l’istantaneità che ci rende felici. Un istante può rendere felici solo se ha una base, una radice e, soprattutto, se tende ad un futuro, all’eterno.
Eppure oggi come oggi l’istante è il metro di tutto. “Carpe diem” è portato alle sue più grottesche esasperazioni ed esagerazioni. È chiaro che non siamo padroni del futuro ed ogni secondo in più che viviamo è soltanto dono di Dio, ma credo che c’è una profonda perversione sotto questa assolutizzazione del momento, dell’attimo. Quella di oggi è una società impazzita, dannatamente malata, forse anche un po’ disperata. Toltole l’aspetto trascendente della vita, è rimasta a contemplare l’aspetto orizzontale, quello meramente materiale. E su quest’asse orizzontale, l’uomo di oggi, striscia. Si trascina avanti, giorno per giorni, nell’attesa, nemmeno troppo convinta, di un domani migliore. La politica lo ha tradito, l’economia pure. L’ideologia ha fallito. L’amore è solo un’utopia. I matrimoni non sono più per sempre. Dio non esiste e se esiste non possiamo conoscerlo e se proprio esiste e possiamo conoscerlo a lui, di noi, non gliene importa niente. Il dolore è insopportabile. Le malattie non si curano. La morte non è stata sconfitta e allora la domanda di fondo diventa senza risposta: perché vivo? A che serve tutto questo? Perché svegliarmi la mattina presto, con il freddo cane di quest’inverno, per andare a lavorare, se tanto quello che lavoro serve per pagare le tasse, per dare gli alimenti a mia moglie che se ne è andata con uno più giovane di me, se i miei figli non mi vogliono più vedere, se dopo un incidente stradale mi ritrovo bloccato su una sedia a rotelle? Qual è il senso della vita? Tolto Dio ci hanno insegnato che il senso, l’essenza, la bellezza della vita la troviamo nell’eccesso, nell’esaltazione del momento. Ogni singolo momento è tuo, ti appartiene, ci ripetono in continuazione. E per godere di quel momento possiamo fare tutto, perché tutto ci è permesso e giustificato. Droghe, sesso, alcol, corse con le auto, attentati alla nostra incolumità e quant’altro sono le nuove frontiere e le nuove strade per il raggiungimento del senso della vita. Quindi vediamo, leggiamo e sappiamo di giovani e non giovani che per dare un senso alla loro settimana frustrante di studio e/o lavoro, magari anche per noia, si divertono e si dilettano ad ubriacarsi. A drogarsi per non essere più sé stessi. A rischiare la propria vita attraversando l’autostrada a piedi per poi mettere il video sul web. A violentare una ragazza. Tanto il fine giustifica i mezzi. Io voglio e quello che voglio lo devo ottenere. Se non lo ottengo con le buone, lo pretendo con le cattive.
Mentre riflettevo su queste cose mi sono venute alla mente alcune persone. Apparentemente slegate tra loro, ma con più di un filo rosso sottile e nascosto che le lega. Samuele. Meredith. Sarah. E ne dimentico altri. Tutte vittime. Di chi e che cosa alla magistratura indagare e al buon Dio giudicare. Ma tutti, sempre più, sfruttati da un sistema giornalistico ignobile, indegno e che, ne sono convinto, gode di questi casi. La sofferenza, la tragedia di queste persone, di queste famiglie, delle loro comunità, è motivo, per i giornali e per le televisioni, di vendere. Di fingersi addolorati mentre si manda in onda l’ennesimo servizio. L’ennesimo speciale, l’ennesimo inviato che sosta senza vergogna davanti alla casa della vittima. Non è perversione questa? Non è perversione diabolica quella di voler raccontare l’indicibile sofferenza di una madre che perde la figlia? Non è perversione fare i tour davanti ai luoghi che la televisione ha mandato in onda per settimane e settimane? Non è perverso che la gente faccia la fila per assistere ad un processo (vedi Cogne)? Non so come andrà a finire la vicenda di Yara. Lo dico da subito, quando le speranza di trovarla ancora viva ci sono: i giornalisti sono complici. Dando importanza, facendo passare per star le varie signore Franzoni, signori Misseri, ecc, queste sono lo conseguenze. Che si cerca di emularli. Che in una vita piatta, per il semplice desiderio di apparire in televisione, di essere intervistati, di stare sulla bocca di tutti, da nord a sud d’Italia, di dare un senso a quel momento, di essere al centro dell’attenzione, anche se l’attimo dopo si torna nel dimenticatoio perché c’è un altro caso da spolpare, si possa anche rapire e, forse, uccidere una bambina.
Eppure oggi come oggi l’istante è il metro di tutto. “Carpe diem” è portato alle sue più grottesche esasperazioni ed esagerazioni. È chiaro che non siamo padroni del futuro ed ogni secondo in più che viviamo è soltanto dono di Dio, ma credo che c’è una profonda perversione sotto questa assolutizzazione del momento, dell’attimo. Quella di oggi è una società impazzita, dannatamente malata, forse anche un po’ disperata. Toltole l’aspetto trascendente della vita, è rimasta a contemplare l’aspetto orizzontale, quello meramente materiale. E su quest’asse orizzontale, l’uomo di oggi, striscia. Si trascina avanti, giorno per giorni, nell’attesa, nemmeno troppo convinta, di un domani migliore. La politica lo ha tradito, l’economia pure. L’ideologia ha fallito. L’amore è solo un’utopia. I matrimoni non sono più per sempre. Dio non esiste e se esiste non possiamo conoscerlo e se proprio esiste e possiamo conoscerlo a lui, di noi, non gliene importa niente. Il dolore è insopportabile. Le malattie non si curano. La morte non è stata sconfitta e allora la domanda di fondo diventa senza risposta: perché vivo? A che serve tutto questo? Perché svegliarmi la mattina presto, con il freddo cane di quest’inverno, per andare a lavorare, se tanto quello che lavoro serve per pagare le tasse, per dare gli alimenti a mia moglie che se ne è andata con uno più giovane di me, se i miei figli non mi vogliono più vedere, se dopo un incidente stradale mi ritrovo bloccato su una sedia a rotelle? Qual è il senso della vita? Tolto Dio ci hanno insegnato che il senso, l’essenza, la bellezza della vita la troviamo nell’eccesso, nell’esaltazione del momento. Ogni singolo momento è tuo, ti appartiene, ci ripetono in continuazione. E per godere di quel momento possiamo fare tutto, perché tutto ci è permesso e giustificato. Droghe, sesso, alcol, corse con le auto, attentati alla nostra incolumità e quant’altro sono le nuove frontiere e le nuove strade per il raggiungimento del senso della vita. Quindi vediamo, leggiamo e sappiamo di giovani e non giovani che per dare un senso alla loro settimana frustrante di studio e/o lavoro, magari anche per noia, si divertono e si dilettano ad ubriacarsi. A drogarsi per non essere più sé stessi. A rischiare la propria vita attraversando l’autostrada a piedi per poi mettere il video sul web. A violentare una ragazza. Tanto il fine giustifica i mezzi. Io voglio e quello che voglio lo devo ottenere. Se non lo ottengo con le buone, lo pretendo con le cattive.
Mentre riflettevo su queste cose mi sono venute alla mente alcune persone. Apparentemente slegate tra loro, ma con più di un filo rosso sottile e nascosto che le lega. Samuele. Meredith. Sarah. E ne dimentico altri. Tutte vittime. Di chi e che cosa alla magistratura indagare e al buon Dio giudicare. Ma tutti, sempre più, sfruttati da un sistema giornalistico ignobile, indegno e che, ne sono convinto, gode di questi casi. La sofferenza, la tragedia di queste persone, di queste famiglie, delle loro comunità, è motivo, per i giornali e per le televisioni, di vendere. Di fingersi addolorati mentre si manda in onda l’ennesimo servizio. L’ennesimo speciale, l’ennesimo inviato che sosta senza vergogna davanti alla casa della vittima. Non è perversione questa? Non è perversione diabolica quella di voler raccontare l’indicibile sofferenza di una madre che perde la figlia? Non è perversione fare i tour davanti ai luoghi che la televisione ha mandato in onda per settimane e settimane? Non è perverso che la gente faccia la fila per assistere ad un processo (vedi Cogne)? Non so come andrà a finire la vicenda di Yara. Lo dico da subito, quando le speranza di trovarla ancora viva ci sono: i giornalisti sono complici. Dando importanza, facendo passare per star le varie signore Franzoni, signori Misseri, ecc, queste sono lo conseguenze. Che si cerca di emularli. Che in una vita piatta, per il semplice desiderio di apparire in televisione, di essere intervistati, di stare sulla bocca di tutti, da nord a sud d’Italia, di dare un senso a quel momento, di essere al centro dell’attenzione, anche se l’attimo dopo si torna nel dimenticatoio perché c’è un altro caso da spolpare, si possa anche rapire e, forse, uccidere una bambina.
Ciao,
RispondiEliminaquesta volta mi vedi d'accordo su quello che hai scritto sia sul "carpe diem" che sulle notizie che la stampa oggi ci propone.
Sulla stampa e in particolare sulla televisione dico che veramente hanno stancato di propinarci sempre la solita minestra e soprattutto perché è di cattivo gusto... Ciò che propongono non è più notizia ma morbosità... Loro trasmettono queste cose, perché c'è qualcuno e più di qualcuno che guarda; come nel calcio tutti si sentono allenatori qui tutti si sentono degli investigatori...
Mi chiedo: ma veramente oggi l'Italia è questà?
Demetrio
Non so se l'Italia è questa. Credo che bisogna stare attenti e ponderati su qualsiasi valutazione di questo tipo. Difficilmente un Paese è solo in un modo o solo in un altro. Una seria riflessione mi faccio ogni volta che sorgono questi quesiti: la tv (e i media in generale) propongono certe cose perchè la gente li segue o la gente li segue perchè la tv (e i media in generale) propongono certe cose?
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