In questi giorni mi imbatto spesso e malvolentieri in manifestazioni e assemblee studentesche nella Facoltà di Lettere della mia città. Oggi, mio malgrado, ho assistito al triste, deprimente, ma pieno di spunti di riflessione, spettacolo di una di queste assemblee studentesche. Ordine del giorno? Cosa fare nei prossimi giorni per protestare contro la riforma delle università. Manifestare? Occupare? Il triste e deprimente spettacolo era animato da quattro o cinque personaggi. Tutti gli altri stavano a guardare. Più (credo) per noia e paura di fare diversamente che per convinzione. Infatti chi ascoltava si divideva tra chi stava stravaccato per terra, chi mangiava, chi fumava, chi chiacchierava con l’amico. Nel frattempo l’abile oratore, molto infervorato devo dire, si è dilungato in un discorso trito e ritrito sulla necessità di esprimere il proprio dissenso. Su cosa penso delle manifestazioni, delle occupazioni e di ogni altra farsa mi sono espresso nel post precedente. Quello che qui volevo esprimere è qualche considerazione partendo da alcune affermazioni che il nostro oratore ha pronunciato alla suddetta assemblea. Frasi che magari per chi frequenta certi ambienti sono normali e scontate. Per me che sono allergico di certi ambienti e, soprattutto, di certi discorsi, queste affermazioni mi hanno fatto sorridere. Ecco le frasi in questione: “La gente è indifferente” e “La gente non ci ascolta”. Ora, onestà intellettuale vorrebbe, che queste affermazioni non passassero inosservate, ma suscitassero almeno qualche osservazione. Una di queste è relativa al fatto che se la gente è indifferente, non sarà perché NON vuole manifestare e NON vuole opporsi alla riforma? O è impensabile che ci sia qualche studente che sia favorevole alla riforma? O quantomeno non contrario. È così tanto assurdo che agli studenti non gliene freghi nulla della politica, delle discussioni parlamentari, delle diatribe assembleari, ecc, ma che vogliono studiare, nemmeno tanto per interesse, quanto almeno per laurearsi il prima possibile ed uscire dall’università? Parliamoci chiaro. Non sarà una riforma a salvare l’università, né a condannarla. Il problema dell’università non è la riforma Gelmini. Il problema dell’università è il problema della cultura e della società. Dove quattro o cinque sinistri personaggi si aggirano per le aule (“Passiamo nelle aule a fare caciara” è come si espresso il nostro oratore – testuale) e impongono la loro visione delle cose. Questa è violenza. Questo è fascismo. Magari di gente che va in giro con la maglietta del Che o con nella testa le idee di Mao e co. Questa è idiozia allo stato puro. È mancanza di realismo, di senso pratico. Crediamo davvero che un’occupazione oltre a un’ubriacatura e uno sfogo di ormoni, produca qualcosa di pratico, utile e sensato nel mondo politico? Giusto o non giusto (e credo sarebbe giusto) pensiamo che i politici prendano in considerazione le varie occupazioni, le varie manifestazioni, i vari cortei, ecc? Prendiamo le cose come stanno. La smettessero questi studenti di fare i finti rivoluzionari. Di fare la caricatura ai loro antenati sessantottini. Che poi sono finiti in banca (come canta Venditti) o sugli scranni del Parlamento e del Senato.
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