lunedì 8 novembre 2010

Io non sto su Facebook. Io ho ventiquattro anni. Se queste due affermazioni sembrano inutili e perlomeno slegate l’una dall’altra, vi assicuro che non è così. Avere ventiquattro anni e non stare su Facebook è cosa abbastanza insolita. Non ci sto perché lo reputo perverso, inutile e dannoso. Almeno per me. Di me sto parlando e non mi ergo certo a giudice di nessuno. Essendo però abbastanza (non troppo) normale, penso che le riflessioni che sono alla base di questa mia scelta, possono valere anche per coloro che invece su Facebook ci stanno e anche beatamente. Ho definito Facebook perverso, inutile e dannoso. Perché perverso? Perché è perversione allo stato puro il voler esternare al mondo intero quello che tu stai provando, la tua vita privata. Perché è perversione saltare da un link ad un altro per capire, scoprire, cosa ha fatto Tizio e cosa ha fatto Caio. Quando magari Tizio e Caio non li conosci. O peggio ancora li conosci, ma loro, a voce, queste cose non te le hanno dette. Perché inutile? È inutile perché non aggiunge nulla alle relazioni umane. Toglie soltanto. Logora. Stravolge la percezione della realtà. Se qualcuno su internet ti sta infastidendo lo blocchi (Msn), lo elimini (Facebook), ti disconnetti (una chat). Nella vita quotidiana cosa fai? Gli pianti una pallottola nel cuore? Lo ignori? Mentre ti sta parlando ti alzi e te ne vai? La prima ipotesi (la pistolettata) magari no, ma le altre due puoi farle. Ma se le fai ti assumi e paghi le conseguenze. In una relazione digitale queste responsabilità non te le assumi. E non assumersi le proprie responsabilità non matura l’uomo. Tantomeno il giovane. Facebook è inutile perché non educa. Perché dannoso? È dannoso perché perverso e inutile. È dannoso perché non aiuta a risolvere o migliorare i rapporti umani. È una grandissima illusione (gravida di conseguenze) quella di pensare che tra il non sentire per niente una persona e sentirla almeno su Facebook sia preferibile la seconda. È come credere che tra un bicchiere di cianuro e uno di curaro sia preferibile, in un momento di arsura, uno dei due. Entrambi portano alla morte. Se il non sentire una persona porta alla morte della relazione, relazionarsi con essa su Facebook porta comunque alla morte del rapporto, ma in maniera più lenta, più corrosiva, più devastante. Dopo non ti riconosci più nella vita reale. Le persone come stanno su Facebook non è detto che poi stiano allo stesso modo sul posto di lavoro o con gli amici. O forse ci stanno. Credendo che la vita reale sia un insieme di link, di gruppi, di pagine viste, di richieste di amicizie, di commenti, ecc. In entrambi i casi una relazione digitale, come quella su Facebook, non permette di conoscere le persone. Una relazione non è fatta di conoscenza nozionistica per cui io so cosa tu hai fatto o cosa tu stai facendo o pensando solo e soltanto perché l’hai detto ad un’altra persona o perché l’hai voluto esternare al mondo. Una relazione è una faccenda privata tra due. È un io che si rivolge ad un tu. Non un io che si rivolge ad un voi. Un rapporto umano ha bisogno di fisicità, di contatto. Non di bit e di pressioni di tasti. Facebook ti illude di avere una relazione con quella persona. Ma non è così. E sentirsi tramite Facebook non è come sentirsi a voce e vedersi in carne ed ossa. Facebook, come gli altri sistemi di comunicazione, può essere uno strumento valido e buono fino a quando rimane uno strumento (anche se nello specifico di Facebook mantengo le mie riserve). Chi sta su Facebook ha questa capacità di distinguere? Credo proprio di no. Non si dà mai per scontata la debolezza dell’essere umano. In un ingiustificato ottimismo sulle capacità umane, si pensa che gli uomini siano capaci di capire ciò che è bene e ciò che è male. Sanno capire il limite tra la decenza e l’indecenza. La quotidianità ci dimostra l’esatto contrario. L’uomo tende al male ed è solo con uno sforzo (e non solo) che riesce ad evitare il male e a produrre il bene. Dare per scontato che i ragazzi e le ragazze, gli uomini e le donne che stanno su Facebook siano in grado di capire che Facebook non è la realtà è veramente pericoloso. Ne è dimostrazione la quantità di tempo che le persone trascorrono su Facebook. Tolte le ore di sonno e quelle in cui sono in famiglia, spesso capita che le ore spese sul social network sono maggiori a quelle in cui avrebbero potuto trascorrerle realmente con quelle persone. Ecco allora che si pensa che sia la stessa cosa. O che, magari per qualche arcano motivo, si capisce che non è la stessa cosa, ma comunque si preferisce starci su Facebook perché tanto “so quando smettere”. Sembra sentire l’eco di tutti i fumatori del mondo. Mi si potrebbe obiettare, magari con compatimento e con un sorriso di superiorità stampato in volto, che lo stesso ragionamento che applico a Facebook e alle relazioni digitali dovrei estenderlo al relazionarsi con una persona tramite una telefonata o tramite una lettera. Lo faccio? No, non lo faccio perché non sono (ancora) così fuori di senno. E il mio non estendere queste considerazioni alle telefonate e alle lettere (o a chissà cos’altro) non è dovuto a ipocrisia o ad un discorso di comodo, ma ad un semplice realismo. Che mi porta a trarre, in conclusione, due considerazioni. La prima di carattere “storico”, la seconda di carattere umano. Partiamo dalla seconda. Il problema non è tanto Facebook in quanto tale (anche se su questo punto ci torno con la prossima considerazione). Viviamo nel 2010 ed è normale, e giusto, che il modo di relazionarsi tra le persone non corrisponda a quello di due secoli fa. Però è altrettanto vero che non c’è più la capacità di saper distinguere il fine dal mezzo. Non capiamo più che internet, Facebook, il telefono, ecc sono dei mezzi. Crediamo che stare su Facebook sia un fine. Una sorta di status symbol. Se non ci sei sei tagliato fuori dal mondo. Se non ci sei, non sei più in grado di relazionarti con il mondo. Così facendo andiamo a sostituire, sicuramente anche senza cattiveria, ma comunque lo facciamo, la persona con il suo avatar su internet. E non è la stessa cosa! Parlare ad un uomo o ad un monitor non è la stessa cosa. Credere che siano la stessa cosa, comporta delle conseguenze laceranti per i rapporti umani e per la stabilità sociale e mentale di chi pensa certe cose. Sembra assurdo, ma è molto diffusa l’idea che parlare tramite Facebook (o altro) e parlare di persona sia la stessa cosa. L’altra considerazione, quella “storica”, riguarda l’evoluzione (o involuzione?) che i mezzi di comunicazione hanno avuto nel corso della storia. È necessità dell’uomo parlare, relazionarsi con un altro, stare in sua compagnia. L’uomo in funzione di questo suo bisogno ha inventato sempre nuovi sistemi di comunicazione. Dai segnali di fumo a Facebook. Il problema dove sorge? Oltre a tutto quello che abbiamo fin qui esposto il problema, a me sembra, è che più si va avanti, più c’è una degenerazione dei rapporti umani. Partendo dallo stato normale di conversazione frontale, fisica, di due persone, si è passati nel corso del tempo a forme sempre più fredde e intermediarie. Dal telefono a Facebook. Che, ripeto, di per sé aiutano anche alcune situazioni (ad esempio persone lontane). Ma normalmente noi non riusciamo ad avere la capacità di distinguere. E tra qualcosa di bello e buono, ma faticoso (una conversazione a quattr’occhi) e qualcosa di brutto, cattivo, ma facile (Facebook) preferiamo il secondo. È come due amici che vogliono raggiungere la luna. Si rendono conto che non ce la fanno e allora passano a cercare di comprare un palloncino a forma di luna. Non riescono nemmeno in quello e allora passano a disegnarsi, da loro, la luna. E ad ammirarla. Capita poi però che la luna che si sono disegnati non è quella che volevano raggiungere all’inizio. Così conosci e ti relazioni con una persona su Facebook e poi scopri che non è la stessa. Qualche cosa che non va c’è, no?

1 commento:

  1. Articolo stupendo!!

    La tecnologia mi affascina molto, ed è molto bello tutto ciò che si può fare con essa...ma occorre distinguere il virtuale dal reale!

    e soprattutto riconoscere anche il potere che ha rovinare le nostre vite!
    si passano ore davanti ad un monitor convinti di avere rapporti con il mondo...centinaia di amici che poi nella realtà non sono come si presentano su facebook e quando stai davvero male si voltano dall'altra parte o guardano la bacheca di un'altra persona!


    ho facebook ma lo considero un mezzo: continuerò a tutelare la mia privacy e a vivere le mie amicizie nella vita reale in cui un abbraccio è decisamente meglio di mille "mi piace" su facebook!!!

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