venerdì 19 novembre 2010

Ho capito

«Papà, cos’è la morte?»
«Francesco, andiamo». Partirono e andarono in un prato a qualche chilometro di distanza fuori dalla città. Era una giornata nuvolosa, il sole faceva fatica a fare capolino. In cielo si combatteva una battaglia tra il sole e le nubi. Le battaglie le vincevano entrambi, a periodi, la guerra la vinceva l’uomo; sapeva cogliere il bene da entrambi. La macchina scorreva tranquilla sull’asfalto delle strade ancora illuminate dai lampioni che accompagnavo il muoversi delle curve. Francesco pieno di domande e di dubbi; suo padre pieno di paure per suo figlio. Infilarono la macchina in un parcheggio. Chiusero gli sportelli e si avviarono. Erano vicini ad un parco. Francesco seguiva suo padre, perché sembrava conoscere bene quel posto. Era così. Infatti in quel prato si erano baciati lui e la moglie. Da lì era iniziata la loro storia. Da lì era incominciata la vita di Francesco. Anche se poi, venne concepito solo tempo dopo. 

«Vedi questi fiori?» disse distendendo la mano davanti a sé indicando lo spazio circostante.
«Sì»
«Vedi, sono belli. Alcuni profumano, chiunque a guardarli prova una bella emozione. »
Poi si chinò, ne prese uno e lo strappò da terra.
«Papà, perché lo hai fatto? »
«Mi ha chiesto cos’è è la morte. Eccola. È togliere la vita. »
«Non capisco»
«Adesso non te ne rendi conto, il fiore sembra essere bello e ancora vivo. Ma non è così. Già da domani vedrai che ha perso il suo colore, la sua forza. E piano piano si appassirà e diventerà brutto. Diverso da tutti gli altri. Non più vivo. Ma brutto. Morto. »
«Perché!? »
Già. Perché? Pensò
«Ti ricordi l’estate scorsa quando siamo andati al mare? »
«Che cosa centra? »
«Te lo ricordi? »
«Certo che me lo ricordo. »
«Il giorno eri felicissimo di andare al mare, di stare con gli amici tutto il tempo all’aria aperta perché c’è il sole, si sta bene. »
«E allora? » incalzò Francesco.
«La cosa più bella di quella vacanza però non è stata giocare con gli amici, farsi il bagno, stare sulla spiaggia. La cosa che ti è piaciuta di più è stata restare fermo sugli scogli a guardare il tramonto. »
Francesco non disse nulla. Ascoltava suo padre e guardava in un punto vuoto davanti a sé. Vedeva quei tramonti ma non capiva cosa centrassero in quel discorso. Suo padre le cose le prendeva sempre per la tangente, spesso si perdeva e non riusciva a concludere il discorso che voleva fare. Ma ero bello starlo ad ascoltare.
«Per esserci il tramonto il sole deve morire. Sprofondare all’orizzonte in un posto che noi non vediamo. »
«Ma il giorno dopo ritorna. »
«Anche le persone che muoiono ritornano. In un domani che non conosciamo. Ma ritornano. »
«Non ci credo»
«Andiamo a dormire»
Francesco voleva protestare. Non era nemmeno ora di cena. Che senso aveva quella decisione? Decise però di non dire niente. Uno strano senso di fiducia gli consigliò il silenzio. Non pose nessuna domanda. Tornarono a casa e, ognuno nella sua stanza, andarono a dormire. Ognuno con i suoi pensieri e le sue considerazioni.
Verso le 4 della mattina … andò a svegliare Francesco.
«Andiamo»
«Dove? »
«Vieni e lo vedrai»
Francesco si alzò. Preso da un euforia che gli invadeva tutto il corpo si vestì e raggiunse il padre che era già sulla porta. La macchina accesa. Rifecero lo stesso tragitto del giorno precedente. Era notte, l’illuminazione stradale indicava l’andamento delle strade. Giunsero al solito prato. Si misero sotto il solito albero. Con la schiena appoggiata al tronco. Fissi verso l’orizzonte. Quell’orizzonte che qualche ora prima aveva accolto il sole, ora, lentamente lo restituiva ai suoi cari. Francesco pianse. Era felice.

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