lunedì 25 ottobre 2010


L’amore non riguarda solo il cuore. Questa è una di quelle idiozie così tanto grandi da aver accecato molti ed aver influenzato tutti. Infatti è una tendenza pericolosa, oltreché disastrosa, quella che porta a pensare che nell’amore conta soltanto il sentimento, la passione, l’emotività, l’istintività ecc. E che porta altrettanto a pensare che la ragione sia un freddo burocrate chiuso nella testa di quei pavidi che hanno paura di lasciarsi andare, di seguire il loro cuore, di seguire le sane pulsioni, le ragioni che vengono dal di dentro. "Le esigenze dell’amore non contraddicono quelle della ragione" [Benedetto XVI – Caritas in Veritate] “Fa quello che ti senti”, “segui i tuoi sentimenti”, “ascolta il tuo cuore”. Eppure “La grandezza consiste nel fare le cose necessarie, non quelle gradevoli.” [L. de Wohl – L’albero della vita] Non quello che ci sentiamo, bensì quello che è giusto, bene per l’altro, per noi stessi. Eppure viviamo in un’epoca che ci educa con quegli slogan, spesso ripetuti in versi e strofe di canzoni, che ci bombardano quotidianamente. Che ci portano al disastro affettivo che viviamo quotidianamente. Matrimoni che falliscono, coppie che si lasciano, ragazzi che non si impegnano; tutto questo per aver seguito la “voce del cuore”. Cuore che, magari, ha consigliato loro di mandare a farsi benedire (o a puttane come canta Baglioni) una storia o una relazione durata per parecchio tempo e che al primo sorgere di un problema si affievolisce. Perché bisogna essere realisti e quello che questa nostra epoca ci insegna è quello di mollare, chiudere, troncare, tutto ciò che ci fa stare male. “Se l’amore fa soffrire allora non è amore” scrivevo proprio io qualche anno fa. Quando ancora credevo che se l’amore non faceva balbettare il cuore allora non era amore e bisognava cercare altro. Altro che non esiste. Ma il fatto che non esista questo tipo d’amore non significa che non esiste l’Amore. È il consumismo. Anche dei sentimenti. Che ci porta a pensare che le cose o sono perfette o non sono. Che ci educa a giustificare tante fughe, tante mancate prese di responsabilità. Perché l’amore è anche questo. Responsabilità. Presa verso l’altro. "Amare qualcuno è volere il suo bene e adoperarsi efficacemente per esso." [Benedetto XVI – Caritas in Veritate] Quell’altro che se anche sta male, ti fa stare male, non per questo lo abbandoni a sé stesso perché non riesce più a darti soddisfazione. Così l’amore diventa uno sfruttamento, una prestazione a pagamento. O ti dà qualcosa o allora non vale la pena di essere vissuto. E allora viene messo via, nell’armadio. In attesa di qualcosa di meglio. Che arriva, ti travolge, e ti lascia poco dopo peggio di prima. Perché ti illudi che quella sia la volta buona e invece ti rendi conto che è la volta buona di lasciare perdere. Impedire all’amore di sgorgare, scorrere e bagnare, come un fiume, le coste del tuo essere. Per paura di un’esondazione applichiamo una diga che blocca completamente l’accesso all’amore. "La natura stessa dell’amore richiede scelte di vita definitive e irrevocabili" [Benedetto XVI]. L’amore se non coinvolge l’eternità non è tale. O è per sempre o non sarà mai. E tutti i giorni che uno si crede di conquistare insieme all’altro, sono soltanto i pioli di una scala che scende verso il basso. O quella scala è protesa verso l’alto, verso il “per sempre”, o conduce alla dannazione, alla disperazione. Non solo quella eterna, ma già da ora, quella terrena. "Amare qualcuno non è solo un forte sentimento, è una scelta, una promessa, un impegno. Se l’amore fosse solo una sensazione, non vi sarebbero i presupposti per un amore duraturo. Una sensazione viene e va. Come posso sapere che durerà sempre, se non sono cosciente e responsabile della mia scelta?" [E. Fromm – L’arte di amare] Ci illudiamo però che l’amore, quello vero, quello genuino, sia quello che trascuri la ragione, le scelte, le riflessioni, le meditazioni, le pause e non gli istinti, le decisioni e non le precipitazioni. Che sia meglio, giusto e bello l’istintività, magari anche violenta e ingiustificata, piuttosto che la serenità di un gesto fatto con cura e pazienza. Crediamo e cerchiamo un amore che è la perfezione. Ma è un’astrazione. Non è amore quello che esclude il perdono; quindi un amore che escluda il peccato, l’errore. Ma è lì che bisogna fare una scelta. Accettare l’altro per quello che è con i suoi limiti e le sue mancanze. Non imporgli un modo di essere che non è il suo. Non costringerlo alla schiavitù delle nostre sensazioni. L’amore è un qualcosa che coinvolge tutto l’uomo, in tutte le sue componenti, nella sua essenza più pura: quella vera. Non solo ragione, non solo emotività. Come scrive Benedetto XVI nella sua ultima enciclica Caritas in Veritate: “Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario. La verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale.” Forse, come abbiamo detto altrove per altre circostanze, il problema più serio, grave ed urgente dell’uomo contemporaneo è proprio quello della mancanza della verità. Verità nei rapporti, nelle scelte, verso sé stessi e verso gli altri. Il dramma dell’assenza della verità conduce anche a questo: alla disperazione dei sentimenti. Che quando non è sé stesso, è solo la sua becera caricatura: la solitudine.

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