sabato 4 settembre 2010

È una questione di cultura, di valori, quindi di religione. Stanno fomentando le polemiche e gli appelli per la revoca della condanna alla lapidazione per Sakineh, la donna iraniana accusata di adulterio e complicità nell’omicidio del marito. Il suo volto campeggia sui frontali dei palazzi di mezza Europa e da più fronti, destra e sinistra, si lancia un grido di aiuto per liberarla e un grido, forse anche più forte, di accusa verso il barbaro uso della lapidazione. Non stiamo certo ad esaltare e giustificare la lapidazione, noi che crediamo in quel Dio che disse «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei» [Gv 8,7], solleviamo però un’amara riflessione che, con lo scorrere dei servizi al TG, montava nella nostra testa. Ebbene: viviamo in un mondo dove tutto è relativo, dove chi annuncia l’esistenza di una verità (e che essa si è resa conoscibile) è calunniato, irriso e attaccato, ora siamo capaci di stabilire che la lapidazione è un atto “barbaro”, “vigliacco” o “ingiusto” (virgolettato degli intervistati)? Su quali basi fondiamo questa certezza? È una provocazione, sia chiaro. Però vorremmo seriamente provocare le menti di quei liberi pensatori, di quegli illuminati moderni, che fino all’altro ieri esaltavano la relatività (e probabilmente continueranno a farlo dopo che la vicenda di Sakineh si sarà conclusa), l’inesistenza della verità, o almeno l’umana incapacità di conoscerla; oggi sono tutti uniti sul fronte dell’accusa alla lapidazione. Concordiamo sulla critica, sia chiaro, ma quello che dovremmo seriamente domandarci, prima ancora di scendere in piazza per manifestare in difesa della dignità della donna, della brutalità della lapidazione, ecc, dovremmo domandarci piuttosto perché in Iran (e altrove) si applichi la lapidazione, mentre nel tanto demonizzato Occidente no. Dovremmo onestamente riflettere sulla nostra facile abilità di calarci le braghe di fronte a dittatori libici, imam di turno e kamikaze provetti, rinnegando senza rimorsi quella cultura che ci permette di essere liberi. Si sa, le cose non si conoscono finché non si corre il rischio di perderle, ma visto che la nostra libertà, la nostra identità, la nostra storia, i nostri valori, sono a rischio (li stiamo calpestando noi stessi), forse è proprio il caso di rendercene conto. Su quali basi loro, i lapidatori stanno sbagliando? Abbiamo un fondamento sul quale basarci? Chi crede in Dio sì; specie nel Dio di Gesù Cristo, sì. Chi inneggia allo stato laicista (non laico), dove la verità è una questione di maggioranza, come e dove può fondare la sua critica della lapidazione? Si facciano coraggio costoro. Oltre a criticare la lapidazione, condannino anche la cultura che la giustifica. Perché c’è una cultura, un insieme di valori, quindi una religione, che sottosta a tutto questo. Ed è una cultura, quella, che noi accogliamo senza troppi problemi nei nostri Paesi. Dovremmo porcelo il problema. Sperando che Sakineh venga salvata. Ma come Sakineh ce ne sono e ce ne saranno altre di situazioni simili. Quello è il sistema. Quello il problem

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