mercoledì 21 luglio 2010

Abbiamo concluso qualche settimana fa con quanto detto da Papa Benedetto XVI: “Il ministero petrino è garanzia di libertà nel senso della piena adesione alla verità”. Ed è proprio di questa verità che oggi vogliamo parlare. La verità è qualcosa che, oggi come oggi, è da più parti messa in discussione. È messa al bando da chi sostiene che essa non esiste; è condannata all’oblio da coloro che reputano che anche esistendo non ci è dato conoscerla; è bistrattata e ignorata da coloro che per comodità o, per un “sano” ecumenismo, o per quieto vivere, reputano improprio e inopportuno fare ad essa riferimento. In queste categorie spesso e volentieri dobbiamo annoverare anche cattolici. A volte anche, eminenti cattolici. Eppure costoro dovrebbero riflettere e rispondere all’ambiguità evidente che si manifesta in queste loro posizioni. Infatti la magna charta dei cattolici è il Credo che ogni Domenica professano durante la Messa. Ebbene nel Credo si afferma: Credo in un solo Signore Gesù Cristo. E questo Gesù Cristo ha detto di sé: «Io sono la via, la verità e la vita» [Gv 14,6] Quindi ogni cattolico crede nell’esistenza della verità. Non potrebbe essere altrimenti. Viviamo però in un’epoca dove la verità, come dicevamo all’inizio, è messa seriamente in discussione; e a volte anche nel mondo cattolico si annaspa per testimoniare la sua esistenza e la sua validità. Come ha affermato l’allora cardinal Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI, nell’omelia nella Messa Pro Eligendo Pontefice: «Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». Il relativismo, la sfiducia nella possibilità di conoscere la verità, la presunzione di ergere sé stessi e le proprie opinioni e sensazioni a verità, se da un lato sembra una via d’uscita ottima e, soprattutto, confortevole, è dall’altro lato, l’autostrada per la distruzione totale: morale e sociale. Infatti non può esserci nessuna relazione umana e sociale se questa non si fonda su qualcosa di certo. Non può esserci stabilità nei rapporti se essi si fondano sulla vacuità delle sensazioni e sull’instabilità delle proprie convinzioni personali. Così ogni rapporto sociale, tra persone o enti, non può sussistere se alla base non c’è qualcosa di certo, di deciso, di comune. La “soluzione” che viene portata come panacea di tutti i mali è quella di risolvere l’equazione sulla verità, mettendo al termine ignoto la maggioranza di una determinata cerchia di persone. Che può essere un governo, una nazione, una lobby, ecc. La verità, per sé stessa, non può essere votata. Va ricercata e stabilita. Essa è immutabile e non può variare a distanza di pochi chilometri. L’omicidio non può essere condannato in Italia ed essere lecito a S. Marino. È un controsenso. Eppure vediamo come sia questo il metro di misura e di comprensione della realtà. Quando si obietta che una legge è ingiusta, la prima risposta che viene data è “rispetta la maggioranza”. Quindi anche l’omicidio diventa lecito. Infatti l’aborto è lecito. Ed è stato votato dalla maggioranza. Che poi questa maggioranza non fosse in grado di legiferare su tale questione, che tale maggioranza è stata ampiamente manipolata e deviata da alcuni personaggi, nessuno lo dice; ma è la realtà. La maggioranza non è e non può essere equivalente alla verità. Chi sbandiera la democrazia in quanto tale come strumento perfetto di raggiungimento della verità sbaglia. E illude. L’altro problema grave del nostro tempo è che non sentiamo più il bisogno di trovare la verità. Come accennavamo all’inizio, l’assenza di verità ci fa comodo. Il suo esilio ci permette di giustificare ogni nostra azione; anche la più vile e squilibrata. Ecco perché concordiamo con Sant’Agostino quando dice che “a me sembra che si debbano ricondurre gli uomini alla speranza di trovare la verità”. Più che annunciare la verità, siamo costretti a ripristinare nell’uomo quel desiderio, mai sopito, ma rimbambito, di anelare a questa verità. Che pur tra le difficoltà e le menzogne, è possibile trovarla. E che solo trovandola possiamo trovare il vero bene. Non può esserci bontà slegata dalla verità. Non si può fare il bene perpetrando la falsità. Certo “in un mondo in cui la menzogna è potente, la verità si paga con la sofferenza” [Benedetto XVI], ma almeno noi cristiani, che alla verità fatta Persona, incarnatasi in un Uomo, crediamo, non dobbiamo, né possiamo, cedere su questo punto. Lo abbiamo detto all’inizio: la presunta incapacità di conoscere la verità e quindi l’impossibilità di averne una, ci sottrae dalla responsabilità delle nostre azioni. “Chi sei tu per giudicare, ammonirmi ed eventualmente punirmi? Per impedirmi di fare questa o quella cosa? Io mi sento di farla; io penso che sia giusto farla. Quindi la faccio.” Ed è molto comodo come sistema. Ma non permette la crescita delle persone, non permette la formazione di legami stabili e fruttuosi, non ci sottrae dall’egoismo di una vita rinchiusa in sé stessi e imprigionata nelle proprie convinzioni. Perché va detto, a scanso di equivoci, la verità che i cristiani professano, che noi professiamo, non è qualcosa che una sera d’inverno, quattro amici ( magari “al bar che volevano cambiare il mondo”) si sono messi a strutturare ed inventare. È qualcosa che noi per primi abbiamo ricevuto. Ma come tale, non essendo di nostro dominio, di nostra proprietà, non la possiamo modificare e quindi tradire. Qui cadono facilmente e banalmente tutte le accuse rivolte alla Chiesa Cattolica; cioè di essere ancorata a valori e convinzioni che ora non hanno più senso perché passati di moda. Quello che la Chiesa, anche attraverso i suoi figli annuncia, è qualcosa di fisso, di eterno, di immutabile che, per insindacabile volontà di Dio, si è resa conoscibile.

Nessun commento:

Posta un commento