«Una volta per far parte del club degli amanti della birra bisognava amare la birra», raccontava il nonno al suo nipotino. Il piccolo, bambino sveglio e con gli occhi attenti, perplesso, disse: «E certo nonno!» Al nonno, che mentre parlava brillavano gli occhi, un velo di nostalgia e una patina di tristezza, si posarono sul suo viso. L’ovvietà dell’obiezione del nipote gli dimostrò per l’ennesima volta, come se tutte le umiliazioni ricevute in vita non fossero bastate, come anche le cose evidenti, per cattiveria o incuria, possano diventare dubbie. Mosso da tenerezza verso il suo amato nipote, ma preoccupato che questa storia potesse turbarlo, continuò il racconto. «Vedi caro, qualche tempo dopo ci fu chi propose di ammettere al club degli amanti della birra anche coloro che amavano l’acqua». «Ma perché?! Che centra?». In quella reazione il nonno rivide se stesso da giovane, frustrato dall’incapacità di far capire le cose ovvie. «Ascoltami». Poi prosegui: «Per fare la birra si usa anche l’acqua. Quindi si disse che non si poteva escludere chi amava l’acqua, ma per tanti motivi non poteva, o voleva, amare la birra, dal club degli amanti della birra». Il nipotino voleva obiettare qualcosa ma, un po’ per rispetto del nonno (questo è un bambino che ha rispetto per i nonni), un po’ perché non sapeva come rispondere, rimase in silenzio. E ascoltò il nonno continuare. «Poi però, altro tempo dopo, ci fu chi disse di ammettere al club degli amanti della birra anche gli amanti della grappa. Questi, oltre ad avere in comune l’acqua, hanno anche in comune il fatto che sono tutte e due bevande alcoliche». Il nipotino era sempre più triste in viso e incapace di rispondere, per quanto il suo buon senso gli premeva di ribattere, ma trovava difficile farlo. Il nonno allora continuò a raccontare: «Ci fu poi, ancora altro tempo dopo, chi disse che era doveroso e giusto – altrimenti sarebbe stata una cosa cattiva – ammettere al club degli amanti della birra anche gli amanti della Coca-Cola». «No nonno, questo no! Sono due cose diverse». “Eh mio caro, quanto soffrirai in questo mondo” pensò il nonno mentre una lacrima percorreva il letto delle sue rughe; lacrima che tante volte aveva versato, quando era lui a farsi le stesse domande del nipote, senza trovare risposta. Provò ad abbozzarne una per il nipote: «Sai, si disse che anche la Coca-Cola ha l’acqua e che rende felici le persone, le fa stare bene, per cui è da stupidi non accettare nel club degli amanti della birra anche gli amanti della Coca-Cola. Magari, dicono, prima o poi piacerà anche a loro la birra». Il ragazzo non sapeva cosa dire. Il silenzio era caduto in quella stanza rendendo nonno e nipote completamente soli. Poveri. Vuoti. Tristi. «Che brutta storia» sentenziò il giovane.
Questa storiella banale è una buona (non perfetta) fotografia della Chiesa cattolica. Più che una foto è una storia che racconta la storia della Chiesa negli ultimi decenni. In molti punti si possono ravvisare palesi similitudini. Negli altri, a libera fantasia dell’autore, se ne vedono solo degli agganci. Tutti, purtroppo, profondamente reali. Tutta questa brutta storia, per dirla con il nipotino, deriva dalla variazione della concezione della parola ecumenismo. Tutti la usano, tutti se ne fregiano, tutti se ne gloriano. Non si può far nulla, oggi, nella Chiesa, se non è ecumenico. Cosa significhi è lasciato, qui come altrove, all’arbitrio di ciascuno. Qui come altrove, però, c’è un comune denominatore: l’odio verso le proprie radici, le proprie caratteristiche, verso se stessi. Infatti nella Chiesa, quando le cose erano quelle che sono e alle parole corrispondevano il loro significato proprio, per ecumenismo si intendeva la conversione di una persona al cattolicesimo. Per rimanere ai termini della storiella banale: per far parte della Chiesa cattolica ed essere cattolico dovevi credere in quello che la Chiesa diceva. Poi si disse che bastava credere in un solo Dio. Poi in un essere superiore. Poi che chi non crede nella Chiesa va rispettato e accolto. Prima l’ecumenismo significava che bisognava convertirsi e tornare alla Chiesa cattolica, rinunciando ai propri errori. Ora non è più così, ma che puoi entrarci così come sei, con tutto il tuo bagaglio di errori (ergo, eresie). Poi se entrando, com’è capitato e capita, semini eresie, zizzania e divisioni, vabbè, non è un problema nostro. Prima ecumenismo significava che la Chiesa “possiede la pienezza del Cristo” [R. Amerio – Iota unum] e che quindi non ha bisogno d’altro per avere la verità. La Chiesa non deve trovare la verità, ce l’ha già. Completa. Poi si è passati a dire che la Chiesa ha una parte di verità, che la verità è più grande e la Chiesa non ne ha l’esclusiva. Probabilmente perché il Padreterno, anche lui, si è aggiornato ed ha capito come funziona il mondo contemporaneo: ha venduto i diritti della verità e la sua esclusiva a varie confessioni religiose; la Chiesa cattolica ha ancora la maggioranza, ma probabilmente con qualche cambio di governo potrebbe perderla. E poi vedremo cosa ci diranno. Davvero, proprio una bruttissima storia.
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